Al popolo di Roma
(10 Aprile 1924)
Le elezioni
politiche ebbero luogo il 6 aprile 1924: rappresentarono una
schiacciante vittoria per il Regime e delusero le illusorie speranze
degli avversari. Quattro giorni dopo il Duce, che si era recato a
Milano, ritornò a Roma. Nel pomeriggio dello stesso giorno
un'enorme folla accorse ad acclamarlo; ed Egli da un balcone di
Palazzo Chigi, dopo il saluto del Regio Commissario, pronunziò
le seguenti parole:
Popolo di Roma!
Il saluto che mi è porto da
questa imponente moltitudine va diritto al mio cuore. Mi è
grato il vostro saluto, ma più mi è grato manifestarvi
tutta la mia devozione e dichiararvi che anche prima di oggi mi sono
sempre sentito un cittadino e un figlio devotissimo di Roma. Questa
adunata, alla quale nessuno dei mistificatori avversari vorrà
negare l'attributo di adunata di popolo, questa adunata viene a
completarne molte altre: ieri attraverso le città della Valle
Padana, lungo i piccoli borghi e gli sperduti casolari
dell'Appennino, nelle città gentili della Toscana ho sentito —
dico ho sentito — vibrare attorno a me il consenso formidabile
di quel popolo anonimo e minuto che è la base granitica della
Patria. E il consenso è balzato anche dalla eloquenza rigida,
ma solenne e severa, delle cifre delle urne. Cinque milioni di
cittadini italiani, veramente liberi e veramente coscienti, si sono
raccolti attorno ai simboli del Littorio. Io non permetto, e noi non
permetteremo, che si insulti il popolo italiano, facendo credere che
si tratti di gente mandata alle urne come una mandria informe di
bestie senza coscienza.
E Roma ha ritrovato nella giornata
del 6 aprile il suo spirito intatto delle grandi ore: Roma ha
magnificamente marciato. Si diceva che gli impiegati non avrebbero
votato per il Governo: hanno votato. Si diceva anche che a Roma non
esiste un popolo lavoratore. Voglio una volta per sempre, come Capo
del Governo, disperdere questa imbecillissima menzogna: Roma lavora!
A Roma ci sono per lo meno cento mila autentici lavoratori: forse più
equilibrati, più coscienti, più devoti al loro dovere
che non altrove! Roma non è già la Capitale di un
piccolo popolo di antiquari. Guardatevi attorno, e vedrete già
tumultuosi nelle strade di questa incomparabile città una
somma sempre più intensa di traffici, un compito sempre
maggiore di energie. La Roma che noi sogniamo non deve essere
soltanto il centro vivo e pulsante della rinnovata Nazione Italiana,
ma anche la Capitale meravigliosa di tutto il mondo latino.
(segue...)
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