(segue) Al popolo di Roma
(10 Aprile 1924)
[Inizio scritto]
Dopo Roma, permettetemi che io
saluti le nobili e generose fanterie del Mezzogiorno d'Italia che
hanno marciato in serrate falangi come quando si aggrappavano alle
doline del Carso sacro e memorabile.
È dunque sfatata
quest'altra grossa menzogna per cui si diceva che il Mezzogiorno
d'Italia era refrattario al Fascismo! Dichiaro che dal responso delle
urne risulta che il Mezzogiorno d'Italia può dare la mano ai
fratelli della Toscana, della Valle del Po e può prendere il
suo posto degnamente fra le avanguardie del Fascismo italiano.
Popolo di Roma! Quale è il
monito imperioso che esce dalla prova di domenica scorsa? Il monito è
solenne ed è questo: bisogna che tutti si arrendano al fatto
compiuto perché è irrevocabile.
Il Partito ha dichiarato:
«Vogliamo dare cinque anni di pace e di fecondo lavoro al
popolo italiano». Questa dichiarazione è mia! Perché
se altri può dire «Perisca la Patria pur che si salvi la
fazione», noi fascisti diciamo: «Periscano tutte le
fazioni, anche la nostra, ma sia grande, sia rispettata la Patria
italiana».
Voi vedete che anche questa
vittoria mi lascia perfettamente tranquillo: più grande è
la vittoria, o cittadini, e più alti sono i doveri; doveri di
lavoro, di disciplina, di concordia nazionale. Io vi domando: «Li
assolverete voi questi doveri?».
Sì, sì! —
risponde la immensa folla.
— Ebbene, io accolgo questo
vostro monosillabo come la formula di un giuramento sacro e vi invito
ad elevare un triplice grido:
«Viva il Re! Viva l'Italia!
Viva il Fascismo!».
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