(segue) Al Consiglio Nazionale delle Corporazioni
(22 maggio 1924)
[Inizio scritto]
Io non mi sgomento affatto quando
leggo che un sindacato fascista ha fatto uno sciopero. Ed è
ridicolo affermare che un episodio sia bastante a giudicare un
metodo. Può darsi fra l'altro, che questo sindacato, malgrado
tutta la sua buona volontà fascista, si sia trovato di fronte
a un datore di lavoro così arretrato da far esaurire la
pazienza collaborazionista del Fascismo. Io penso che il nostro
sindacalismo ha un grande avvenire. Intanto voglio darvi
un'attestazione. Ed è questa: come Capo del Governo ho avuto
molte noie e molte amarezze dal Partito. Ma è fatale che i
figli rendano spesso grama la vita ai genitori. Mentre invece il
sindacalismo fascista, che pure inquadra vaste masse e che
soprattutto agisce sopra un terreno delicato e difficile come quello
economico, me ne ha date infinitamente meno di quelle del Partito.
Ho piena fiducia nel movimento
corporativo fascista. Già ho constatato con soddisfazione che
alcuni elementi che hanno propagato fra noi le prime enunciazioni
dottrinali del sindacalismo vengono ora al nostro sindacalismo
fascista.
Ciò è bene perché
occorre attirare a noi le intelligenze. Può darsi che anche in
questo organismo appena creato vi siano delle imperfezioni e delle
deficienze, ma ciò è inevitabile in ogni movimento e in
ogni collettività.
Dalla vostra assemblea deve
partire questo richiamo onesto e solenne: che la collaborazione di
classe deve essere praticata in due: che i datori di lavoro non
devono approfittare dello stato attuale, instaurato dal Fascismo, che
ha dato un senso di disciplina alla Nazione, per soddisfare ai loro
egoismi; che essi devono considerare gli operai come elementi
essenziali alla produzione: che devono fare il loro interesse in
quanto coincide con quello della Nazione e non invece vi contrasti.
Solo in questo modo si potrà avere una massa realmente
disciplinata, laboriosa, fiera di contribuire alle fortune della
Patria.
(segue...)
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