(segue) Luce, concordia e giustizia
(24 giugno 1924)
[Inizio scritto]
Mi si è obiettato di
essermi disinteressato degli affari della politica interna. Ciò
non corrisponde al vero, perché il problema fondamentale di
tale politica è stato la mia costante, assidua, vorrei dire,
angosciosa preoccupazione e fatica quotidiana.
All'indomani della marcia su Roma
mi sono trovato di fronte ad una mole imponente di problemi di
politica interna che, per ragioni obiettive ed insite nella
situazione, nessun altro avrebbe potuto affrontare.
Si trattava di riassorbire la
illegalità nella costituzione, si trattava di rimettere grado
a grado, ma incessantemente, nell'alveo della legalità, la
vasta fiumana che aveva rovesciato gli argini.
Voi sapete, onorevoli Senatori,
che è assai facile, come diceva il Poeta, evocare gli spiriti.
Ma poi non è altrettanto facile dominarli.
Vi sono rivoluzioni, che, come la
inglese, ha scosso per mezzo secolo quel popolo. Si può dire
che la crisi francese scatenata nell'89 è durata senza
interruzione fino al 1870. Che meraviglia se la crisi scoppiata nel
1922 o piuttosto la crisi generale del dopoguerra, che in Italia è
stata specialmente tormentosa per un vario e complesso ordine di
ragioni, non si è ancora risolta in un equilibrio definitivo?
Non vi dispiaccia se ancora una
volta sottopongo al vostro illuminato giudizio gli elementi che
devono documentare lo sforzo talvolta schiacciante da me compiuto in
venti mesi come Capo del Governo e ministro dell'Interno per
ricondurre alla normalità il Paese.
All'indomani della marcia su Roma,
l'immediato problema che dovetti affrontare fu quello di far
rientrare alle loro sedi 60.000 giovani che erano entrati in Roma,
armati di tutto punto. Ciò ch'io riuscii ad ottenere colla
massima disciplina, senza incidenti di sorta, in 48 ore.
(segue...)
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