(segue) Luce, concordia e giustizia
(24 giugno 1924)
[Inizio scritto]
Volli, per fissare dei limiti al
movimento, che i fascisti si limitassero a sfilare davanti alla
Maestà del Re e davanti ai Duchi della Vittoria e del Mare.
Quasi immediatamente dopo, con una lettera che varrebbe la pena di
rileggere, proibii severamente agli ufficiali della guarnigione di
Roma di manifestarmi la loro simpatia perché allora pensavo,
come oggi penso, che l'esercito non deve fare della politica, né
palese né segreta, né diretta, né indiretta. In
ciò sta la base granitica, la gloria e il principio
dell'eroico esercito italiano.
Chiamai al Governo uomini di tutti
i Partiti. Riapersi il Parlamento e ne ebbi, dopo regolari
discussioni, i pieni poteri. Affrontai e risolsi di lì a poche
settimane il problema gravissimo degli squadristi. Ho esercitato i
pieni poteri per un anno. Potevo chiedere la proroga. Avrebbero
votato a favore anche i popolari. Vi rinunciai. Non avevo proposto
leggi eccezionali e mi proponevo di fare un altro passo innanzi sulla
strada della legalità.
Nel frattempo avevo abolito tutti
quelli che potevano apparire ed erano qua e là dei doppioni di
Prefetti, come gli alti commissari e i fiduciari provinciali del
partito.
Ordinai il catenaccio per le
iscrizioni, al partito, mentre si procedeva allo scioglimento quasi
quotidiano di Fasci singoli e di intere Federazioni, sempre allo
scopo di adeguare il partito alle necessità costituzionali del
Governo.
Nel campo sociale la mia politica
interna si sforzò ed ottenne di conciliare le forze necessarie
della produzione, ristabilendo la disciplina e la continuità
del lavoro.
Sciolta regolarmente la Camera,
furono nei termini prescritti dalla legge convocati i comizi
elettorali. La lista nazionale ha raccolto ben 4 milioni e
ottocentomila voti. Si può seriamente sofisticare su queste
cifre? Negare la realtà non è un giuoco assurdo? Esse
indicano il consenso in proporzioni imponenti.
(segue...)
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