(segue) Luce, concordia e giustizia
(24 giugno 1924)
[Inizio scritto]
Ottenuto il suffragio del popolo,
le necessità della politica interna si delinearono ancora più
chiaramente nel mio spirito, precisate in questi capisaldi
fondamentali:
1°) far funzionare
regolarmente l'Istituto parlamentare come organo del potere
legislativo, restituendogli le sue capacità e il suo
prestigio;
2°) regolare, dal punto di
vista della Costituzione, la situazione della Milizia Volontaria;
3°) reprimere i superstiti
illegalismi ai margini del Partito;
4°) chiamare all'opera di
ricostruzione tutte le forze vive della Nazione, cioè tutti
gli elementi di qualsiasi origine che non ignorano la Patria.
Tutte le mie manifestazioni
politiche dal 6 aprile in poi tendono direttamente a questa meta; ad
accelerare, cioè, a perfezionare l'entrata definitiva del
Fascismo nell'orbita della costituzione, a fare del Fascismo un
centro di raccolta e di conciliazione nazionale.
Dissi, nel mio discorso del 10
aprile ai Romani: «Vogliamo dare cinque anni di pace e di
fecondo lavoro al popolo italiano. Se altri può dire: Perisca
la Patria purché si salvi la fazione, io grido invece:
Periscano tutte le fazioni, compresa la nostra, ma sia grande, ma sia
rispettata la Patria italiana».
E concludevo: «Più
grande è la vittoria, e più alti sono i doveri: doveri
di lavoro, di disciplina, di concordia nazionale».
Gli stessi principi io riaffermavo
nel mio discorso alla maggioranza, e finalmente, nel mio discorso
dell'8 giugno alla Camera, ho cercato, dopo una settimana di
discussioni tempestose, di superare le posizioni necessariamente un
po' statiche dei partiti, di rivolgermi direttamente alla Nazione,
per disperdere le ceneri dei nostri e degli altrui rancori.
(segue...)
|