(segue) Sintesi della lotta politica
(7 agosto 1924)
[Inizio scritto]
Insisto su alcune note da voi
toccate. Bisogna, quando si è al potere, e non ci sono
soltanto io, ma ci siete anche voi tutti, perché la
responsabilità è diffusa, comune, e la portiamo tutti
insieme in solido, bisogna avere l'ignoranza, se non il disprezzo,
dell'affare.
Bisogna proprio essere estranei
agli affari e non farne (applausi fragorosi); rifiutarsi persino di
sentirne parlare; dichiarare che alla nostra mentalità tutto
ciò è estraneo e quando ci siano in ogni caso necessità
di ordine nazionale, che impongano di trattare simili faccende,
bisogna farlo alla chiara luce del sole ed in termini che non
ammettano sofisticazioni o speculazioni di nessun genere.
Altra cosa osservata è
questa. Non vi è dubbio che abbiamo un po' peccato di vanità.
Ci siamo un po' troppo ingingillati; troppi commendatori, troppi
cavalieri; tutto ciò doveva essere fatto per altri. Noi
dovevamo magari distribuire le commende ma fuori del campo fascista.
Dovevamo avere l'orgoglio di arrivare nudi alla meta.
Anche per quello che riguarda la
condotta privata approvo quanto si è detto pur evitando di
cadere in un rigorismo quacquero, che ci condurrebbe fuori della
realtà della vita. È evidente ad esempio che, quando si
occupano posti eminenti del Partito o del Governo, si deve tenere una
condotta che non dia luogo ad osservazioni.
Voi avete appena toccato un
argomento: quello più delicato veramente: la tragedia del
giugno. Ne parlo a voi con assoluta fraternità, veramente da
compagno a compagni. Il 7 giugno pronunciai un discorso alla Camera
che aveva letteralmente sgominato le opposizioni. Quale era la base
niente affatto paradossale del mio discorso? O voi, signori
dell'opposizione, farete l'opposizione in questa linea che vi
propongo, o non la farete.
(segue...)
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