(segue) Al popolo di Busto Arsizio
(25 ottobre 1924)
[Inizio scritto]

      Cittadini! Anche questa giornata che volge al termine in un tramonto di sole e di gloria... e per la quale avete trepidato un poco... sì! pensavate a qualche diluvio... anche questa giornata si chiude per me lasciando nel mio animo un ricordo lieto, un ricordo che non si cancellerà, vi assicuro, perché è con viva commozione che io ho ascoltato il discorso del vostro Sindaco; è stata per me una specie di rivelazione sapere che a Busto ci sono 360 tra piccoli e grandi stabilimenti, che la natività è potente, che la città si sviluppa! Quello che avviene a Busto avviene oggi in tutta la Nazione. Voi sentite che il ritmo della nostra vita si è straordinariamente accelerato; sentite che bisogna riguadagnare energicamente il tempo perduto; voi sentite, avete questa sicurezza, questa certezza suprema, che se tutti noi saremo disciplinati, concordi, laboriosi, stretti intorno al Sovrano, stretti intorno alle Istituzioni fondamentali della Patria, non potrà mancare un grande, un prospero, un glorioso avvenire.


      Poco dopo, il Duce passò nella sala consigliare del Municipio di Busto Arsizio, e ai Sindaci del Circondario rivolse le seguenti parole:

      Quando non si è dogmatici pur mantenendo la necessaria intransigenza ideale — la quale intransigenza risponde ai connotati di un individuo — si può tuttavia scegliere il minimo o il massimo comune denominatore che permetta di lavorare con assoluta concordia fra uomini diversi.
      Io aggiungo, signor Sindaco, che se questo fosse possibile su vasta scala, sulla scala della Nazione, la cosa avrebbe certamente un'utilità grandissima. Ma debbo aggiungere con molta franchezza che se questo non è avvenuto, o non è avvenuto in quelle proporzioni che si potevano pensare, non è dipeso da me. No, non è dipeso da me. È solo con la concordia che si possono risolvere i problemi di una città, concordia che unisce i cittadini nel ramo della produzione. Tutti sanno che solo a questo prezzo è possibile realizzare l'avvenire del popolo. Quante volte io ho detto ai cittadini di buona volontà: lasciamo da parte, davanti ai problemi della ricostruzione nazionale che sono immensi, che sono urgenti (ci sono comuni in condizioni di vita premedioevale che sono in arretrato non di 50 ma di 400 anni), quante volte io ho detto: affrontiamo questi problemi, lasciamo da parte la policromia politica, l'arcobaleno, i trecento colori, lavoriamo! Lavoriamo perché è nel lavoro che si trova la concordia. Non è stato possibile. Evidentemente ogni movimento ha i suoi emigrati: la rivoluzione francese nell'89 ha avuto i suoi emigrati che andavano fuori della Francia per combattere; il movimento fascista ha avuto i suoi emigrati. D'altra parte non si può dimenticare che c'è un fatto compiuto, consegnato alla storia, che non si può cancellare. È mai possibile negare che nell'ottobre 1922 ci sia stata una Marcia su Roma, un fatto storico cioè come la spedizione dei Mille, il martirio di Belfiore, le dieci giornate di Brescia, le cinque giornate di Milano? Ebbene, signor Sindaco, non importa se gli appelli resteranno nel vuoto. Bisogna persuadersi di una cosa: che il Governo è solido, che io sono più solido ancora del Governo.

(segue...)