(segue) Per la riforma dell'Esercito
(2 aprile 1925)
[Inizio scritto]

      Non bisogna credere che quel che va bene per la Svizzera che ha una speciale geografia, una speciale storia ed una speciale situazione diplomatica, possa andar bene per l'Italia. La Nazione armata svizzera ha tradizioni secolari. Non bisogna abbandonarsi a esperimenti avventurosi. La Nazione armata in tempo di pace deve intendersi armata spiritualmente, ma essa non potrà mai sopprimere quello che si chiama esercito permanente. Sono d'avviso, sempre in tema di principio, che convenga tener presente quello che ha detto il Generale Pecori Giraldi circa una unità di indirizzo per tutte le questioni che concernono la preparazione della Nazione per la guerra. Non bisogna veder solo il proprio settore, non bisogna veder solo l'Esercito, solo la Marina o solo l'Aviazione: questa visione sarebbe unilaterale ed insufficiente; potrebbe condurre domani come ieri a squilibra ed inconvenienti, a pericoli gravissimi.
      Sempre sul tema per dire così, di ordine generale, sono perfettamente d'accordo sulla disciplina necessaria dell'Esercito. Ricordo anzi al Senato che io ho dato un esempio clamoroso: quando gli ufficiali della guarnigione di Roma volevano venire sotto l'Hotel Savoia, diedi ordine tassativo che nessuno si muovesse dalle caserme; ma, se questa disciplina, che è gloria dell'Esercito, dovesse essere interpretata in modo estensivo, come Fascismo e antifascismo, si sappia che io respingo questa interpretazione in modo solenne. Perché gli uomini dell'antifascismo nel 1917, mentre pochi italiani si maceravano in trincea, tentavano di pugnalarli con la rivolta di Torino, ed è del 1917 il grido parricida: «il prossimo inverno non più in trincea», e qui c'è il maresciallo Cadorna che può dire quali conseguenze d'ordine morale ha avuto questo grido nefando.
      Gli uomini dell'antifascismo sono quelli che, dopo la guerra, hanno battuto il leit-motif dell'espiazione, cioè che la borghesia italiana doveva espiare il crimine della guerra, mentre essa per noi è il titolo più nobile d'orgoglio della stirpe italiana.

(segue...)