(segue) La donna e il voto
(15 maggio 1925)
[Inizio scritto]
E potrei aggiungere, traendole da
questo pacco di telegrammi, le adesioni singole: per esempio le
adesioni delle donne fasciste della provincia di Caserta, le adesioni
delle donne fasciste della provincia di Messina, ma non voglio
tediarvi a leggere questi telegrammi, i quali, tutti, indicano quale
è la tendenza del mondo femminile fascista.
D'altra parte, giustamente,
l'onorevole Vicini ha ricordato che nei postulati fascisti del 1919,
a proposito di tornare alle origini, era nettamente contemplato
questo postulato.
Non divaghiamo a discutere se la
donna sia superiore o inferiore; constatiamo che è diversa. Io
sono piuttosto pessimista, più pessimista dell'on. Lupi: io
credo ad esempio, che la donna non abbia grande potere di sintesi, e
che quindi sia negata alle grandi creazioni spirituali.
Signori, in che secolo viviamo? In
questo. Viviamo forse nel Medio Evo quando chiusa nei castelli la
donna aspettava dal verone il ritorno del crociato?
Noi viviamo in un secolo arido,
triste se volete. Ma lo accettiamo. Perché non possiamo
modificarlo. È il secolo del capitalismo. C'è un
determinato sistema di vita sociale che ha strappato le donne dal
focolare domestico e le ha cacciate a milioni nelle fabbriche, negli
uffici, le ha immesse violentemente nella vita sociale. E mentre voi
siete atterriti nel sapere che ogni quattro anni una donna metterà
una scheda in un'urna, non siete affatto atterriti quando vedete
maestre, professoresse, avvocatesse, medichesse che invadono
metodicamente tutti i campi dell'attività umana. E non lo
fanno per capriccio. Lo fanno per necessità.
Aggiungo che questa necessità
è diventata sempre più impellente. I tempi sono duri, e
nelle famiglie, per vivere, ormai c'è bisogno di lavorare in
due, ed al mattino l'uomo lascia la casa per andare alla fabbrica e
la donna l'abbandona per andare all'ufficio.
(segue...)
|