Per la Battaglia del Grano
(30 luglio 1925)
Il Duce aveva
fatto iniziare, e dirigeva personalmente, tutta una serie di studi
tecnici e d'indagini per attuare la «Battaglia del grano».
Fu promosso a tal fine un Congresso Nazionale in Roma, a cui
parteciparono le rappresentanze dei Sindacati agricoli. Tali
rappresentanze furono ricevute da S. E. il Capo del Governo a Palazzo
Chigi, il 30 luglio 1925. In questa occasione Egli fece le seguenti
dichiarazioni:
Signori!
Vi ringrazio del vostro saluto. Vi
ringrazio dei propositi che mi avete manifestato con sicura fede. Vi
dirò poche parole. Qualcuno di voi opinava che si dovesse
ricostituire il ministero dell'agricoltura. Ero, sono e sarò
contrario. L'agricoltura italiana non ha bisogno di un ministero. Ha,
forse, bisogno di un ministro. Quel ministro sono io. Ha bisogno di
mezzi: li avrà.
Mentre altrove si levano le vacue
e rimbombanti parole in grazia alle quali poco mancò che fra
la rivolta interna dell'agosto e la tragedia dell'ottobre del 1917 la
Patria non fosse tratta ad irreparabile ruina, il Governo fascista vi
offre da quindici giorni e da tre anni le prove concrete e quotidiane
della sua ferma volontà di affrontare e risolvere i problemi
fondamentali che assillano da decenni e da secoli l'esistenza del
popolo italiano. Problemi di libertà, o signori, ma della vera
libertà, non di quella metafisica, assoluta; non della libertà
liberale, infine, che non mai esisté sulla faccia della terra,
né mai esisterà.
La battaglia del grano, o signori,
significa liberare il popolo italiano dalla schiavitù del pane
straniero. La battaglia della palude significa liberare la salute di
milioni di italiani dalle insidie letali della malaria e della
miseria. Il Governo fascista ha ridato al popolo italiano le
essenziali libertà che erano compromesse o perdute: quella di
lavorare, quella di possedere, quella di circolare, quella di onorare
pubblicamente Dio, quella di esaltare la Vittoria e i sacrifici che
ha imposto, quella di avere la coscienza di se stesso e del proprio
destino, quella di sentirsi un popolo forte non già un
semplice satellite della cupidigia e della demagogia altrui.
(segue...)
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