(segue) Discorsi di Asti, Casale, Vercelli
(24 e 28 settembre 1925)
[Inizio scritto]
Camerati!
Sono perfettamente sicuro che non
volete un discorso, né un supplemento di discorso. Parlerò
alla militare. Le cose vanno bene: non benissimo. Non bisogna mai
essere troppo ottimisti in politica perché il troppo ottimismo
è sinonimo di pacefondaismo e il pacefondaismo significa
paralisi, inerzia ed immobilità. Abbiamo vinto una battaglia
tenendo duro, applicando la mia parola d'ordine: durare,
inflessibilmente giorno per giorno, mese per mese, anno per anno. Ci
hanno dichiarato una guerra di posizione. Essa è vinta, perché
la posizione avversaria è smantellata. Avevo previsto che come
l'esercito nemico risalì in disordine le valli donde s'era
calato — c'è qua uno che ha visto e che ha determinato
quegli avvenimenti — (grida di: «viva Badoglio!»),
così gli avversari nostri sarebbero stati ridotti ad ugual
partito.
La tattica rimane immutata: rigida
e religiosa intransigenza. Il Fascismo deve insegnare agli italiani
non la coerenza formale e artificiosa, ma la coerenza profonda e
fondamentale della vita. Abbiamo creduto che le larve del passato
potessero ancora essere utilizzate. Niente di tutto ciò.
Sarebbe come voler mettere il vino nuovo negli otri vecchi: o il vino
inacidisce o gli otri si spezzano. Mai come in questi mesi il Governo
ha lavorato. Siamo andati incontro al Mezzogiorno d'Italia non con
promesse ma con opere concrete. Abbiamo creato istituti nuovi, ne
creeremo ancora. Mai come in questi mesi ho sentito attorno al
Governo ed attorno alla mia modesta persona il consenso incontenibile
della sana e laboriosa popolazione italiana.
Questo mi conforta a proseguire.
Non ho nessuna ambizione. Disdegno la vanità, non mi sorride
neanche l'idea del futuro. Quello che più mi sospinge, che mi
fa lavorare e persistere è un'altra ambizione, un altro amore:
l'ambizione di vedere grande la Patria, l'amore del popolo italiano!
Poiché io lo amo il popolo italiano, lo amo alla mia maniera:
il mio è l'amore armato, non l'amore lagrimoso ed imbelle, ma
severo e virile che affronta il compito della vita come una
battaglia. Il popolo sa che io lo amo e da tre anni me ne dà
le prove. La indisciplina, le irrequietezze, le intemperanze, sono
limitate ad una minoranza di politicanti spodestati e
irreconciliabili. Il popolo lavoratore, poco a poco strappa la nebbia
fitta delle menzogne impossibili, e riconosce nel Fascismo una delle
poche idee direttrici della civiltà in questo tormentoso
periodo storico. Sento che vibrate dei miei stessi sentimenti, che
voi sentite che quanto io ho detto è la verità. Sapete
che non sono né un tiranno né un padrone, ma il
servitore del popolo italiano e che sarò pago quando avrò
visto che le tappe essenziali sono raggiunte. Voi siete i marciatori,
il nuovo popolo, forgiato a Vittorio Veneto e temprato nell'ottobre
del 1922, quando è crollato il vecchio regime come un vecchio
scenario tarlato.
(segue...)
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