Elementi di Storia
(31 ottobre 1925)


      Questo articolo, pubblicato in «Gerarchia» alla fine d'ottobre del 1925, costituisce la sintesi dichiarativa della lotta politica sostenuta e vinta dal Fascismo dopo il giugno del 1924 - e particolarmente in seguito a quel discorso del 3 gennaio 1925 con cui le opposizioni furono definitivamente abbattute, non solo nei loro tentativi dissolventi nel paese per mezzo della stampa, ma anche e sopra tutto nelle oscure manovre parlamentari e nella vana politica dell'Aventino. I deputati secessionisti dell'Aventino non avevano oramai più alcuna possibilità di assumere un qualsiasi atteggiamento positivo e cercavano un'occasione opportuna per ritornare alla Camera; e il vano tentativo fu fatto di ti a poco, il 16 gennaio 1926, nel modo più infelice e inopportuno.

      I.
      L'anno terzo della Rivoluzione fascista (il 29 ottobre comincerà il 4° dei sessanta preventivati) è un anno durante il quale la Rivoluzione fascista ha compiuto un formidabile balzo innanzi. A giudizio unanime di amici e nemici lo squillo della ripresa è dato dal discorso del 3 gennaio. Quella giornata e quel discorso costituiscono uno svolto decisivo: segnano l'inizio del contrattacco. Qualcuno può domandarsi: Perché fu pronunciato il tre gennaio e non prima o non dopo? La risposta è ovvia. Perché solo nell'ultima decade di dicembre si realizzarono le condizioni necessarie e sufficienti per incominciare la controffensiva.
      I sei mesi intercorsi dal giugno al dicembre furono mesi di sosta e di riordinamento tattico. Semplicemente. Non fu infatti mai in questione l'esistenza del governo. È di quei mesi la mia affermazione che un «governo non cadesse non vuole cadere» con l'aggiunta che «nemmeno i cannoni che avessero sparato a zero da Piazza Colonna su Palazzo Chigi, sarebbero riusciti a spostarmi dalla mia trincea». Questa sosta tattica fu imposta dalle circostanze e fu attuata senza perdere nulla dell'essenziale, senza compromettere nulla di fondamentale. Già il 31 agosto ad Abbadia San Salvatore una mia frase diede l'idea del mio stato d'animo. Successivamente, nel settembre le moltitudini di Ferrara, Ravenna, Vicenza, Asiago e nell'ottobre quelle di Aquila, Bergamo, Lodi, Gallarate, Busto, Milano mi mostrarono che l'altro grande protagonista del dramma — il coro onnipresente anche quando taceva — non si era allontanato irreparabilmente dal Fascismo: parlo del vasto popolo italiano. Era anche necessario tollerare che l'Aventino fornisse la prova manifesta della sua natura chiacchieratoria, diffamatoria e alla fine politicantista e infeconda. Bisognava aspettare che l'Aventino suscitasse la nausea o la indifferenza di molti italiani che avevano dubitato nelle solite crisi di coscienza o avevano disertato o avevano disperato per eccesso di fede, non di malvagità. Tre gennaio 1925, dunque: non prima e non dopo. Coloro che seguono la mia strategia politica non mi hanno mai negato la dote della «tempestività» che è l'essenziale di ogni strategia.

(segue...)