(segue) Il Novecento
(15 febbraio 1926)
[Inizio scritto]

      Mi sono domandato se gli avvenimenti che ognuno di noi ha vissuto — Guerra e Fascismo — hanno lasciato tracce nelle opere qui esposte. Il volgare direbbe di no, perché salvo il quadro «A noi!», futurista, non c'è nulla che ricordi o — ohimè — fotografi, gli avvenimenti trascorsi o riproduca le scene delle quali fummo in varia misura spettatori o protagonisti. Eppure il segno degli eventi c'è. Basta saperlo trovare. Questa pittura, questa scultura, diversifica da quella immediatamente antecedente in Italia. Ha un suo inconfondibile sigillo. Si vede che è il risultato di una severa disciplina interiore. Si vede che non è il prodotto di un mestiere facile e mercenario, ma di uno sforzo assiduo, talora angoscioso. Ci sono i riverberi di questa Italia che ha fatto due guerre, che è diventata sdegnosa dei lunghi discorsi e di tutto ciò che rappresenta lo sciattume democratico, che ha in un venticinquennio camminato e quasi raggiunto e talora sorpassato gli altri popoli: la pittura e la scultura qui rappresentate sono forti come l'Italia d'oggi è forte nello spirito e nella sua volontà. Difatti nelle opere qui esposte ci colpiscono questi elementi caratteristici e comuni: la decisione e la precisione del segno, la nitidezza e la ricchezza del colore, la solida plasticità delle cose e delle figure. Guardate ad esempio la testa magnificamente scolpita del mio povero e fedele amico Bonservizi; non vi pare di leggere nel cavo profondo delle sue occhiaie la tragedia della sua fine improvvisa? Osservate talune «nature morte», taluni paesaggi, talune figure di uomini e di donne. Io guardo e dico: questo marmo, questo quadro mi piace. Perché mi allieta gli occhi, perché mi dà il senso dell'armonia, perché quella creazione vive in me ed io mi sento vivo in lei, attraverso il brivido che dà la comunione e la conquista della bellezza. Credo che molti di voi percorrendo le sale comprenderanno questo mio giudizio e troveranno che questa prima Mostra testimonia ottimamente per il certo avvenire dell'arte italiana.

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