(segue) Cinque giorni in Tripolitania
(11-15 aprile 1926)
[Inizio scritto]

      Voglio affermare che le direttive del Senatore De Bono sono eccellenti. Noi abbiamo fame di terre perché siamo prolifici e intendiamo restare prolifici.
      Bisogna dunque utilizzare la terra: la tecnica agricola moderna è capace di qualunque miracolo, ma soprattutto capace di miracolo è stata in ogni tempo questa nostra razza italiana che mi appare ognora, quando io ne faccio oggetto delle mie meditazioni, un prodigio singolare nella storia umana.
      Quando io penso al destino dell'Italia, quando io penso al destino di Roma, quando io penso a tutte le nostre vicende storiche, io sono ricondotto a vedere in tutto questo svolgersi di eventi, la mano infallibile della Provvidenza, il segno infallibile della Divinità.
      Così Dio ci protegga e protegga il nostro popolo e protegga il nostro Re e la nostra Nazione; il resto lo dobbiamo fare da noi stessi. Io porterò a Roma i prodotti agricoli di questa terra; additerò a tutti gli italiani l'esempio dei coloni e dei pionieri perché questo esempio sia largamente imitato. Non vi è dubbio che questo mio viaggio è destinato, per ragioni evidenti, ad avere molte profonde ripercussioni nell'animo del popolo italiano, ripercussioni che saranno benefiche perché tale è la nostra volontà incrollabile. Dopo di ciò vi saluto e dichiaro aperto il convegno in nome del Re.

      La sera stessa, alle ore 22 del 15 aprile 1926, il Duce ripartiva per l'Italia su la R. Nave «Cavour».