(segue) Roma antica sul mare
(5 ottobre 1926)
[Inizio scritto]

      Questo trattato nonostante l'incertezza di talune clausole dimostra che i romani avevano un raggio di azione limitato nel mare, ma dimostra altresì che sin da allora la onnipotente Cartagine rispettava la piccola ma già solida Federazione latina.
      Tito Livio parla di un trattato stipulato nel 348 a. C., che sarebbe, secondo Polibio, stato perfezionato da un secondo trattato stipulato nel 343 a. C.
      Si tratta di due trattati di commercio e di navigazione. Nel 306 Roma e Cartagine concludono un patto molto importante ed oneroso per Roma, alla quale venivano rigorosamente fissati i termini marini insuperabili, e cioè niente commercio in Africa né in Sardegna.
      L'invasione di Pirro, minacciosa per entrambi i futuri rivali, li conduce ad una vera e propria alleanza militare. Secondo le clausole trasmesseci da Polibio, Roma e Cartagine si impegnano a non concludere una pace separata con Pirro e ad aiutarsi reciprocamente. C'è una clausola sintomatica che rivela come Cartagine tenesse al predominio marino. «Chiunque dei due contraenti abbia bisogno di soccorso, è Cartagine che fornirà i vascelli per l'andata e ritorno»... All'epoca della seconda offensiva di Pirro, Cartagine mandò l'ammiraglio Magone, con 120 navi alle foci del Tevere, ma Roma declinò l'aiuto. Altrettanto fece Cartagine, evitando di chiamare al soccorso i Romani, quando Pirro minacciava la Sicilia. Insomma i due alleati si sorvegliavano a vicenda, ognuno spiava le mosse dell'altro, quasi entrambi presaghi del fato imminente che li attendeva.
      La causa che fece scoppiare le ostilità è legata all'occupazione di Messina da parte dei mamertini, truppe mercenarie d'origine campana, che erano stiate congedate da Agatocle di Siracusa. Questi mamertini occupano Messina nel 284. Gerone di Siracusa, successo ad Agatocle, li assediò per parecchi anni e li spinse all'estremo. I mamertini, allora, prima di arrendersi si divisero: parte, la maggiore, chiese aiuto a Roma, la minore a Cartagine. La notizia che i mamertini chiedevano soccorso a Roma produsse una grande emozione, in quelli che con frase del gergo moderno si potrebbero chiamare gli «ambienti politici» della Capitale. La prospettiva di una nuova guerra, mentre era appena finita quella di Pirro, non pareva una ipotesi molto lusingatrice per il Senato, il quale, sembra per la prima volta nella storia di Roma, rimise la decisione al popolo convocato nei comizi delle centurie o centuriati. Il popolo era piuttosto interventista, ma nemmeno i comizi centuriati si proclamarono favorevoli alla guerra: si dichiararono, invece, favorevoli a stringere alleanza con Messina accogliendola nella Federazione italica, il che, praticamente, avrebbe condotto alla guerra, dal momento che gli assedianti di Messina erano siracusani e cartaginesi. Roma correndo l'anno 265 aveva l'aria di non voler assumere l'iniziativa della guerra. Non si può desumere d'altra parte che Roma credesse, col semplice annuncio della sua alleanza con Messina, di liberare la città dal duplice assedio punico-siracusano. La conseguenza dell'alleanza fu il passaggio di Caio Claudio da Reggio a Messina, nonostante gli ostacoli della flotta cartaginese, e la conquista della città, con il comandante cartaginese della fortezza fatto prigioniero. Nel 264 il console Marco Valerio Massimo, detto di poi il Messala, batte in una giornata campale i due alleati. Vista la mala parata Gerone abbandona i cartaginesi e stringe alleanza coi romani i quali così si spingono sino a Siracusa, avendo cioè in possesso tutta la costa occidentale della Sicilia. I Cartaginesi portarono allora ad Agrigento il centro della loro resistenza, ma anche qui furono battuti nel 262, di modo che dovettero ridursi alla parte della Sicilia orientale. L'annunzio di questa vittoria sollevò un'ondata di entusiasmo a Roma che decise la guerra fino in fondo, cioè fino all'espulsione di Cartagine da tutta la Sicilia. Ma per far questo bisognava tagliare le comunicazioni tra la Sicilia e Cartagine, battere anche sul mare Cartagine. Roma si accinse a questa impresa nuova con una decisione fermissima. Si dice che bastarono sessanta giorni, dal taglio del legname, per costruire centoventi quinque-remi. Qui si inserisce la leggenda secondo la quale i Romani copiarono una cinqueremi cartaginese, che la tempesta aveva gettato sulla spiaggia tirrena, probabilmente tra Anzio e Capo Palinuro, mentre i rematori sarebbero stati esercitati a terra prima che in mare. Ma nella sua storia dei romani, giustamente Gaetano De Sanctis fa osservare che «i Romani, i quali avevano vinto e quindi erano diventati alleati di Taranto e di Siracusa, non avevano bisognò di copiare la quinqueremi naufragata per iniziare la costruzione della loro flotta né di esercitare in terra i loro marinai perché i «socii navales» della Lega italica avevano ciurme già rotte al mare».

(segue...)