(segue) Al Congresso delle scienze prima del quarto attentato
(31 ottobre 1926)
[Inizio scritto]
Signori!
Mi piace che il fremito
formidabile di questa giornata bolognese, che io non dimenticherò
mai, si plachi un poco in quest'aula. E trovo perfettamente logico
che la mia giornata, che ha avuto inizio in una grande rassegna delle
forze giovanili armate della Patria, si chiuda in questa riunione,
destinata al Congresso della Società per il progresso delle
scienze.
Quando mi fu porto l'invito, io
era un poco esitante nell'accettarlo, perché mi sono
domandato: Che cosa ho dato io personalmente alla scienza? Un bel
nulla. Che cosa ho dato, come Capo del Governo? Ancora molto poco.
(Voci: «: Tutto!»).
Molto poco. La ricerca
scientifica, in Italia, da dieci anni attraversa un periodo di stasi.
Bisogna avere il coraggio di confessare che siamo in ritardo. La
guerra anche qui ha determinato uno stato di sosta e di crisi. La
guerra ci ha impoveriti. Invece la ricerca scientifica moderna
richiede un impiego ingentissimo di mezzi. Non per niente io ho
ordinato ad un chimico di fare uno studio che mi informi sullo stato
dei laboratori dei gabinetti scientifici universitari, perché
è mio avviso che esso sia, se non deplorevole, certamente
arretrato. Basta pensare allo stato di certe cliniche moderne. Basta
pensare che per la vetusta e gloriosa Padova ho dovuto fare uno
stanziamento di fondi subitaneo per impedire che i chirurghi di tutto
il mondo si trovassero a presenziare ad una operazione in una baracca
di legno, per comprendere che il problema è veramente grave.
Debbo dirvi ancora, o signori, che
io non ho mai varcato le soglie del tempio, abbastanza complicato,
della scienza. Mi sono limitato al vestibolo.
Ho pensato spesso che l'origine
delle ricerche scientifiche, sia, come opinava Aristotile, che a mio
sommesso avviso, è il più grande scienziato
dell'antichità, la curiosità dello spirito umano. «La
filosofia — egli diceva — nacque dalla curiosità.
E notate che allora la scienza non aveva mezzi. Si procedeva per
analogie: non solo, ma va ricordata una scuola filosofica greca,
quella dei sofisti, che impugnava e irrideva a qualsiasi esperienza,
negando la esistenza del fenomeno stesso. Ora, qualche volta mi sono
posto dinanzi al fatto scienza, per vedere la mia posizione
personale, la posizione del mio spirito di fronte a questo fatto:
prima di tutto per definirlo. La mia definizione non dico che sia
quella esatta, e potete anche respingerla, se la trovate inesatta,
oppure insufficiente: credo che sia l'indagine e il controllo dei
fenomeni che cadono sotto la nostra sensibilità e sotto quella
degli strumenti che noi possiamo adoperare. Naturalmente, un fenomeno
che si ripete infinite volte può dar luogo alla legge, ma
qualcuno si domanda se la legge più rigida, la legge di
gravità, per esempio, non possa soffrire di eccezioni.
(segue...)
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