(segue) Nemi ed Ercolano
(9 aprile 1927)
[Inizio scritto]
Presunzione la seconda senza
fondamento, perché Ercolano, seppure più piccola di
Pompei e seppure si vogliano accogliere i calcoli del Beloch per il
perimetro urbano, doveva estendersi con le sue ville molto al di là
delle sue mura, e in ogni caso non poterono bastare ad esaurirla le
poche decine di anni in cui si è saltuariamente scavato; e
scavato male, senza ordine, e senza metodo.
«Ercolano non può
essere scavata senza cominciare col demolire l'abitato di Resina»:
anche questa è una leggenda ed il piano di indagini, oramai
già elaborato, dimostra precisamente il contrario. Gli scavi
cominceranno nell'area a sud di Resina e nella parte bassa
dell'antica città, verso la linea di confine a mare ormai
accertata, in modo che si potrà lavorare allo scoperto e si
potranno portare le terre di scarico con poco dispendio fuori della
zona archeologica.
Un'altra grande impresa
archeologica mi piace oggi annunziarvi come oramai decisa: il
recupero delle due grandi navi romane sommerse nel lucido specchio
nemorense.
Tutte le volte che nel corso degli
ultimi cinque secoli si è parlato delle due navi romane e si è
studiato il mezzo di estrarle dal loro giaciglio lacustre, sempre il
cuore è balzato nel petto di tutti coloro che hanno culto e
reverenza per il nome di Roma e per la sua antica grandezza. Per
tutti costoro le due frammentarie moli lignee sono qualcosa di assai
più e assai meglio che i resti di due enormi barconi del primo
secolo, poiché sopra di esse, intorno ad esse, non soltanto
scintillano le acque del lago, ma anche i ricordi di un mito
antichissimo, le ansie di una tragica figura imperiale, le impronte
di una civiltà giunta al vertice del suo fasto e della sua
potenza, e tutta una catena di tradizioni, di leggende e di simboli.
Queste tradizioni rimontano al
passato più lontano e si ricongiungono ad uno dei più
antichi culti romani di Diana che ebbe nei boschi di Nemi il suo
primo sacrario; nei re numerosi successori di Virdio, i suoi
sacerdoti ed ebbe il suo rito notturno e silvano in quella corsa
delle fiaccole che ha ispirato a Lucrezio una magnifica immagine: «et
quasi cursores...», ed i mortali, correndo per una strada senza
fine, si trasmettono la fiaccola della vita.
(segue...)
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