(segue) Il discorso dell'Ascensione
(26 maggio 1927)
[Inizio scritto]
Questo ancora non basta. C'è
un tipo di urbanesimo che è distruttivo, che isterilisce il
popolo, ed è l'urbanesimo industriale. Prendiamo le cifre
delle grandi città, delle città che si aggirano e
superano il mezzo milione di abitanti. Non sono brillanti, queste
cifre: Torino, nel 1926, è diminuita di 538 abitanti. Vediamo
Milano, è aumentata di 22 abitanti. Genova è aumentata
di 158 abitanti. Queste sono tre città a tipo prevalentemente
industriale. Se tutte le città italiane avessero di queste
cifre, tra poco saremmo percossi da quelle angosce che percuotono
altri popoli. Fortunatamente non è così: Palermo ha
4177 abitanti di più — parlo di quelli che nascono, non
di quelli che vanno, perché questo è spostamento, non
aumento —; Napoli 6695 e Roma tiene il primato con 7925. Ciò
significa che, mentre Milano, in 10 anni, crescerà di 220
abitanti, Roma crescerà di 80.000.
Ma voi credete che, quando parlo
della ruralizzazione dell'Italia, io ne parli per amore delle belle
frasi, che detesto? Ma no! Io sono il clinico che non trascura i
sintomi, e questi sono sintomi che ci devono far seriamente
riflettere. Ed a che cosa conducono queste considerazioni? Primo, che
l'urbanesimo industriale porta alla sterilità le popolazioni;
secondo, che altrettanto fa la piccola proprietà rurale.
Aggiungete a queste due cause d'ordine economico la infinita
vigliaccheria delle classi cosiddette superiori della società.
Se si diminuisce, signori, non si
fa l'Impero, si diventa una colonia! Era tempo di dirle queste cose;
se no, si vive nel regime delle illusioni false e bugiarde, che
preparano delusioni atroci. Vi spiegherete quindi che io aiuti
l'agricoltura, che mi proclami rurale; vi spiegherete quindi che io
non voglia industrie intorno a Roma; vi spiegherete quindi come io
non ammetta in Italia che le industrie sane, le quali industrie sane,
sono quelle che trovano da lavorare nell'agricoltura e nel mare.
(segue...)
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