(segue) Il discorso dell'Ascensione
(26 maggio 1927)
[Inizio scritto]

      Del Resto, la Nazione sente forse il bisogno elettorale? Lo ha dimenticato, ed è proprio necessario per noi di avere, attraverso un bollettino di voto, l'attestazione del consenso del popolo? Lasciatemi pensare che questo non è assolutamente necessario. Verso la fine di quest'anno, nell'anno prossimo, noi stabiliremo le forme con cui sarà eletta la Camera corporativa dello Stato italiano.
      Ma intanto vengo ad un punto essenziale del mio discorso: forse al più importante. Che cosa abbiamo fatto, o fascisti, in questi cinque anni? Abbiamo fatto una cosa enorme, secolare, monumentale. Quale? Abbiamo creato lo Stato unitario italiano. Pensate che dall'Impero in poi, l'Italia non fu più uno Stato unitario. Noi qui riaffermiamo solennemente la nostra dottrina concernente lo Stato; qui riaffermo non meno energicamente la mia formula del discorso alla Scala di Milano, «tutto nello Stato, niente contro lo Stato, nulla al di fuori dello Stato».
      Non so nemmeno pensare nel secolo XX uno che possa vivere fuori dello Stato, se non allo stato di barbarie, allo stato selvaggio. È solo lo Stato che dà l'ossatura ai popoli. Se il popolo è organizzato, il popolo è uno Stato, altrimenti è una popolazione che sarà alla mercé del primo gruppo di avventurieri interni o di qualsiasi orda di invasori che venga dall'estero. Perché, o signori, solo lo Stato con la sua organizzazione giuridica, con la sua forza militare, preparata in tempo utile, può difendere la collettività nazionale: se la collettività umana si è ridotta al nucleo familiare, basteranno cento normanni per conquistare la Puglia.
      Che cosa era lo Stato, quello Stato che abbiamo preso boccheggiante, roso dalla crisi costituzionale, avvilito dalla sua impotenza organica? Lo Stato che abbiamo conquistato all'indomani della Marcia su Roma era quello che c'è stato trasmesso dal '60 in poi. Non era uno Stato; ma un sistema di Prefetture malamente organizzate, nel quale il Prefetto non aveva che una preoccupazione, di essere un efficace galoppino elettorale. In questo Stato, fin dal 1922 il proletariato — che dico?! — il popolo intero, era assente, refrattario, ostile. Oggi preannunziamo al mondo la creazione del potente Stato unitario italiano, dall'Alpi alla Sicilia, e questo Stato si esprime in una democrazia accentrata, organizzata, unitaria, nella quale democrazia il popolo circola a suo agio, perché, o signori, o voi immettete il popolo nella cittadella dello Stato, ed egli la difenderà, o sarà al di fuori, ed egli l'assalterà.

(segue...)