(segue) Diaz
(1 marzo 1928)
[Inizio scritto]
Così, fino alle giornate di
ottobre del 1917, fino al durissimo allarme che doveva svegliare capi
e gregari, Esercito e Popolo. Inchiodata l'irruzione nemica alle rive
del Piave, ecco Diaz (scelto con incomparabile acume da chi poteva)
balzare al Comando in capo dell'Esercito. Gli eventi successivi
dimostrarono che le speranze concepite allora erano pienamente
giustificate.
Il popolo si ricompose in una
ferma unità degli spiriti, i mutilati accorsero alle trincee,
gli adolescenti partirono a colmare i vuoti, i veterani presero a
motto del loro ardire la frase scritta da un fante sconosciuto:
«Meglio vivere un giorno da leoni che cento anni da pecore».
Rianimatore e riorganizzatore
delle forze fu Diaz: spirito profondamente religioso, spirito umano
fra uomini, comprese che i soldati non erano soltanto dei piastrini
di riconoscimento, ma delle anime; comprese che il morale, invece di
essere considerato come una fredda, quasi catechistica esercitazione
meramente formale, dovesse costituire la preoccupazione costante, la
cura assidua di tutti i Capi. È in questo problema
fondamentale di psicologia e nell'avere avvertito immediatamente
questa necessità che Diaz rivelò, ancora prima del
giugno, le sue qualità di Comandante supremo.
La battaglia del giugno, che fu
una delle battaglie decisive della guerra mondiale, dimostrò
che l'Esercito italiano era ormai così materialmente e
moralmente armato da potere riguadagnare il territorio perduto e
riafferrare la Vittoria.
Ottobre 1918. Avanzata fulminea
oltre Piave. Catastrofe dell'esercito nemico. Bollettino del 4
novembre. Il nome breve e tagliente del Condottiero è in fondo
alla pagina che rimarrà eterna nella Storia della Patria. La
guerra è finita. La guerra delle armi è finita. È
l'ora dei diplomatici. Dopo il sacrificio, il calcolo. Non
soffermiamoci a lungo nei ricordi per non rendere più pungente
la nostra amarezza.
(segue...)
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