(segue) Prefazione a Regresso delle nascite, morte dei popoli
(1 settembre 1928)
[Inizio scritto]
Il Ministero dell'Agricoltura
risponde con una nota di pessimismo. Negli ultimi venti mesi la terra
arata è diminuita di altri 80 mila ettari, il che significa
una diminuzione di oltre 200 mila quintali, nel già esiguo
raccolto di grano valutato a un milione e 200 mila quintali.
Dunque Londra cresce, ma si fa il
deserto nelle campagne inglesi. È noto che nel 1927
l'Inghilterra ha superato Francia e Germania come minimo di natalità.
Anche nelle belle feconde pianure di Francia il deserto guadagna —
ironico e tragico bisticcio di parole! — guadagna terreno
perché l'urbanesimo sterile ha — per nutrirsi! —
spopolato e devastato i villaggi ed i casolari. Ecco un vero grido di
angoscia, lanciato recentemente da Giuseppe Barthelemy, membro
dell'Istituto di Francia.
«Noi sappiamo che vi sono
oggi in Francia — egli scrive — due volte più
stranieri di prima della guerra: un milione nel 1911, due milioni e
mezzo nel 1926; ciò rappresenta il sei per cento della
popolazione totale. Su cento abitanti della Francia, ve ne sono sei
che non sono francesi. È una proporzione impressionante. Dal
1918 al 1926 sono stati introdotti in Francia 853 mila lavoratori
dell'industria e 600 mila contadini, ciò che rappresenta un
totale di un milione e mezzo di individui. Secondo le nostre vecchie
statistiche del 1922, gli stranieri avevano già in mano
333.800 ettari di terra, di cui 90.500 erano loro proprietà,
mentre occupavano il resto con mezzadri e contadini. Nel 1926
l'Italia ha fornito il 18 per cento dell'importazione della mano
d'opera. Non vi sono dunque abbastanza francesi per coltivare la
terra di Francia. È un fatto. Noi abbiamo troppa terra per le
nostre braccia. L'Italia ha troppe braccia per la sua terra. Che cosa
val meglio? È la scelta tra la gioventù, la vitalità,
la fecondità da una parte e dall'altra l'età matura,
l'età troppo matura, che annunzia la senilità.
"L'emigrazione — diceva Mussolini nel 1924 — deve
essere considerata non come un fenomeno doloroso di miseria e di
debolezza, ma come un problema morale e politico di forza"».
(segue...)
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