(segue) Prefazione a Regresso delle nascite, morte dei popoli
(1 settembre 1928)
[Inizio scritto]
Sino al maggio del 1926, sino al
mio discorso che per mera coincidenza cronologica fu chiamato
dell'Ascensione, gli Italiani furono vittime del luogo comune della
«loro straripante natalità». Toccò a me di
spezzare, al pari di altri, anche questo luogo comune. La verità
è diversa ed è triste; anche in Italia diminuiscono le
nascite; anche l'Italia soffre del male comune alle altre Nazioni
europee.
Coloro che hanno una specie di
abito mentale ottimista osservano tuttavia che il decorso della
malattia in Italia sembra benigno. Anche questo è un luogo
comune e basterà per eliminarlo, esaminare le cifre nel loro
totale e nella loro composizione.
Cominciamo dai totali. Il massimo
coefficiente di natalità si ebbe nel quadriennio 1881-1885 con
38 nati per ogni mille abitanti. Poi cominciò la discesa
lenta, ma continua.
Le fasi di questa discesa ognuno
può vederle nella apposita Tavola del Bollettino dell'Istituto
Centrale di Statistica. Nel 1915, all'atto della guerra, il quoziente
di natalità è già al 30.5 per mille.
In trent'anni circa abbiamo
perduto otto punti. Nello stesso periodo il quoziente di mortalità
scende dal 27 al 20 per mille: non arriva, cioè, nemmeno a
compensare la diminuita natalità. Gli anni di guerra ed il
1919 seguito immediatamente, non possono dirci gran che.
Nel 1920 il quoziente di natalità
si spinge a 31.8 per mille, con una mortalità del 18.8 per
mille: il quoziente di eccedenza dei nati sui morti è del 13.1
per mille. Il più alto che si sia registrato dal 1870 in poi.
Ma dopo questa punta comincia il
movimento regressivo, che giunge al quoziente di 26.9 per mille nel
1927. Mentre per perdere otto punti ci sono voluti prima della guerra
trent'anni; sono bastati sette del dopoguerra a farne perdere
quattro.
(segue...)
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