(segue) Il giornalismo come missione
(10 ottobre 1928)
[Inizio scritto]
Non è quindi affatto
assurdo che, trattandosi di continuare l'educazione formativa delle
moltitudini i giornalisti debbano essere moralmente e tecnicamente
preparati. È evidente che nelle scuole non si fa «il
giornalista» come non si fa il «poeta». Ciò
nondimeno, nessuno vorrà negare l'utilità delle scuole
stesse.
Questa prima adunata dei
giornalisti del Regime, vuole essere premio e riconoscimento. Le
vecchie accuse sulla soffocazione della libertà di stampa, da
parte della tirannia fascista, non hanno più credito alcuno.
La stampa più libera del mondo intero è la stampa
italiana. Altrove i giornali sono agli ordini di gruppi plutocratici,
di partiti, di individui; altrove sono ridotti al compito gramo della
compravendita di notizie eccitanti, la cui lettura reiterata finisce
per determinare nel pubblico una specie di stupefatta saturazione,
con sintomi di atonia e di imbecillità; altrove i giornali
sono ormai raggruppati nelle mani di pochissimi individui, che
considerano il giornale come un'industria vera e propria, tale e
quale come l'industria del ferro e del cuoio.
Il giornalismo italiano è
libero perché serve soltanto una causa e un Regime; è
libero perché, nell'ambito delle leggi del Regime, può
esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di
propulsione. Io contesto nella maniera più assoluta che la
stampa italiana sia il regno della noia e dell'uniformità.
Coloro che leggono i giornali stranieri di tutti i Paesi del mondo
sanno quanto sia grigia, uniforme, stereotipata fin nei dettagli la
loro stampa. A questo punto, io affermo che il giornalismo italiano
fascista deve sempre più nettamente differenziarsi dal
giornalismo degli altri Paesi, fino a costituire, non soltanto per la
bandiera che difende, la risoluta, visibile e radicalissima antitesi.
Questa differenziazione non ne
esclude una seconda, non meno importante. Permettetemi qui di
impiegare un paragone musicale. Io considero il giornalismo italiano
fascista come una orchestra. Il «la» è comune. E
questo «la» non è dato dal Governo attraverso i
suoi uffici stampa, sotto la specie dell'ispirazione e della
suggestione davanti alle contingenze quotidiane; è un «la»
che il giornalismo fascista dà a se stesso. Egli sa come deve
servire il Regime. La parola d'ordine egli non l'attende giorno per
giorno. Egli l'ha nella sua coscienza. Ma dato il «la»,
c'è la diversità che si evita la cacofonia e si fa
prorompere invece la piena e divina armonia; oltre agli strumenti,
c'è poi la diversità dei temperamenti e degli artisti;
diversità necessaria, poiché si aggiunge, elemento
imponderabile ma vitale, a rendere sempre più perfetta
l'esecuzione. Ogni giornale deve diventare uno strumento definitivo,
cioè individualizzato, cioè riconoscibile nella grande
orchestra. I classici archi non escludono, nelle moderne orchestre, i
«flauti» dalle forme inconsuete. Ci può essere,
cioè, il giornale fascista dall'aria seria, con tinta magari
di ufficiosità, e il giornale d'assalto, battagliale e
temerario. Ci possono essere giornali che prediligono determinati
problemi: quelli che hanno la statura per essere nazionali e altri,
invece, che devono rassegnarsi a essere degli ottimi fogli regionali
o provinciali.
(segue...)
|