Per il Gran Consiglio
(15 novembre 1928)
Questo breve
discorso, pronunziato al Senato del Regno nella tornata del 15
novembre 1928, ha, nella sua laconicità, un'importanza
fondamentale. Con esso il Duce, discutendosi la Legge su
l'ordinamento e le attribuzioni del Gran Consiglio, dà il
colpo di grazia a certi residui di oblique manovre politiche che,
dall'istituzione del Gran Consiglio, avevano voluto trarre, ad arte,
deduzioni arbitrarie.
Onorevoli Senatori!
Dato l'andamento della discussione
io mi risparmio e vi risparmio il discorso che avevo preparato.
L'umanità attraversa un
periodo di giustificata fobia delle parole. Mi rimetto, quindi, per
quanto concerne lo spirito e la lettera della legge, alla relazione
ministeriale ed a quella chiara ed esauriente dell'Ufficio Centrale
del Senato e ai discorsi pronunziati in quest'aula.
Mi limiterò ad una breve,
ma forse non superflua dichiarazione. Questo disegno di legge ha dato
luogo ad esitazioni comprensibili e rispettabili, ma anche ad oblique
manovre e ad insulse vociferazioni. Si è levata una grande
bandiera per contrabbandare dell'antifascismo miserevole. Ora, sei
anni di lealissimo Governo fascista mettono al disopra di ogni
sospetto il Regime in tutti i suoi uomini e in tutte le sue
espressioni politiche, militari, sindacali.
A coloro che scambiano le nebbie
dei loro impossibili desideri e le illusioni delle loro inutili
attese solitarie con una inesistente realtà e favoleggiano di
dissidi, basterà ricordare, accanto al lealismo perfetto,
monarchico e dinastico della nostra fede e della nostra opera, un
fatto più eloquente di ogni discorso.
Quando S. M. il Re d'Italia, Capo
dello Stato, accende nella cappella del Fascio bolognese la lampada
votiva dedicata alla memoria delle Camicie Nere cadute per creare
l'attuale Regime, Egli compie un atto il cui significato è di
per sé evidente.
(segue...)
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