(segue) Relazione alla Camera sugli accordi del Laterano
(14 maggio 1929)
[Inizio scritto]
È il generale Bonaparte
che, in data 26 settembre del 1796, manda un messaggio ardentissimo
al Senato di Bologna; che scrive il 7 ottobre agli abitanti di
Reggio: «coraggio, bravi abitanti di Reggio, formatevi in
battaglioni, organizzatevi, correte alle armi; è giunto
finalmente il tempo in cui anche l'Italia sia annoverata fra le
nazioni libere e potenti». E il 10 dicembre dello stesso anno
invia al Congresso di Stato della Lombardia un proclama: «se
l'Italia vuole essere libera, chi mai potrà impedirglielo?»
Il primo gennaio del 1797, al Congresso cispadano: «la misera
Italia è da lungo tempo cancellata dalla carta delle potenze
di Europa. Se gli italiani di oggi sono degni di riconquistare i loro
diritti e di darsi un libero governo, si vedrà un giorno la
loro patria figurare gloriosamente tra le potenze del mondo. Ma non
dimenticate, — aggiungeva — che le leggi nulla valgono
senza la forza».
Questi proclami suscitarono un
entusiasmo immenso. Il non ancor ventenne Ugo Foscolo scriveva l'ode
a Bonaparte liberatore. Osservate il contrasto tra le forze
irrompenti dalla Rivoluzione e lo Stato Pontificio: contrasto che
aveva condotto all'armistizio di Bologna, alle trattative di pace di
Firenze, rinnegate poi dal Papa, il quale sperava nel soccorso
dell'Austria, che si faceva regolarmente battere, e nel soccorso del
Borbone di Napoli, che si ritirava sentendo il vento infido. Le Somme
Chiavi erano nelle mani di un Papa incerto e oscillante, che non si
rendeva ragione degli avvenimenti, di un cardinale che si chiamava
Busca e di alcuni generali assai curiosi. Uno di essi, il Colli, si
dimenticava i battaglioni, come noi potremmo dimenticare le chiavi di
casa.
Accadde che al fiume Senio, nei
pressi di Castelbolognese, fossero schierati due eserciti: quello
pontificio era raccogliticcio, senza quadri. C'era un proclama col
quale si imponeva agli oziosi e ai vagabondi di andare sotto le
bandiere, che furono portate e benedette in San Pietro; in una fu
inciso il motto di Costantino: «in hoc signo vinces».
Alcuni ufficiali si presentarono ai franco-italiani, — poiché
non bisogna dimenticare che c'erano già degli italiani in
queste truppe napoleoniche —, e fecero sapere che, se
l'indomani mattina le truppe francesi avessero varcato il fiume, si
sarebbe fatto fuoco.
(segue...)
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