Discorso al Senato sugli Accordi del Laterano
(25 maggio 1929)
Undici giorni
dopo, al Senato, nella tornata del 25 maggio, S. E. il Capo del
Governo pronunziava, su lo stesso tema, il seguente discorso:
Onorevoli Senatori!
Voglio prima di tutto rassicurarvi
per quello che concerne le proporzioni del mio odierno discorso. Non
saranno quelle del discorso che ho pronunziato nell'altro ramo del
Parlamento, quantunque mi debba trovare forse nella necessità
di riferirmi al discorso che ho pronunziato il 13 maggio.
Pronunziato a tre mesi di distanza
dalla firma dei Patti Lateranensi, lo si è trovato duro; io lo
definirò crudo, ma necessario; anche le punte polemiche
avevano dei bersagli definiti e sono giunte al segno, perché
coloro ai quali erano destinate ne hanno accusato ricevuta.
Gli avvenimenti improvvisi,
lungamente attesi e sperati, possono produrre delle deviazioni
spirituali o, per usare una frase che non piace agli spregiatori
delle «prodezze aeroplanistiche», degli sbandamenti. Era
necessario quindi disperdere una atmosfera che per essere troppo
nebulosa e sentimentale avrebbe finito per alterare i contorni delle
cose, il carattere e la portata degli avvenimenti. Era necessario
stabilire con una frase drastica quello che in realtà era
accaduto sul terreno politico, e precisare le reciproche sovranità;
il Regno d'Italia da una parte, la Città del Vaticano
dall'altra. Era utile aggiungere che le distanze tra il Regno
d'Italia e la Città del Vaticano si numerano a migliaia di
chilometri come la distanza che separa Parigi dal Vaticano, Madrid
dal Vaticano, Varsavia dal Vaticano.
Si doveva dissipare l'equivoco per
cui si poteva pensare che il Trattato del Laterano avrebbe
vaticanizzato l'Italia o che il Vaticano sarebbe stato italianizzato;
o, per citare una vecchia frase, che il Re sarebbe diventato il
chierico del Papa o che il Papa sarebbe diventato il cappellano del
Re. Niente di tutto ciò; distinzione precisa. La contiguità
non significa nulla, la distanza è giuridica e politica.
(segue...)
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