Al Congresso dei Filosofi
(26 maggio 1929)


      Discorso pronunziato il 26 maggio al settimo Congresso Nazionale di Filosofia, in Roma.

      Signori e signore!
      La mia presenza in quest'Assemblea, il mio intervento a questa cerimonia inaugurale e solenne del settimo Congresso nazionale della filosofia ha un suo significato e tende a sfatare un'accusa che ancora circola in taluni ambienti italiani e stranieri, l'accusa cioè che il Fascismo, con la sua politica intransigente e totalitaria, con la sua tirannia — vedete che le parole non mi spaventano — abbia abbassato il livello intellettuale degli Italiani, abbia cioè portato una depressione nei valori dello spirito e della cultura. Io contesto in pieno quest'accusa e faccio rilevare anzitutto che lamentazioni di questo genere le notiamo anche in altri Paesi.
      Non solo in Italia, ma in altre Nazioni di Europa si lamenta che non ci sia più un Dante nella poesia, un Michelangelo nelle arti, un Kant nella filosofia, uno Shakespeare nel teatro, un Beethoven nella musica. Si dimentica che giganti di questa statura non nascono ad ogni anno e ad ogni decennio. Bisogna contentarsi di ammirarli a intervalli di secoli. D'altra parte io penso che la grande fioritura dello spirito non sia lontana. Siamo in un periodo di transizione, siamo in un periodo nel quale, per necessità contingenti, siamo affaticati da problemi di ordine empirico materiale. La lotta per la vita ha oggi un'asprezza e, in genere, talvolta il carattere della civiltà contemporanea è tale che si può giustificare, in un certo senso, il pessimismo di coloro che annunciano il declino dello spirito umano. Io non ci credo. Io credo che fra qualche tempo avremo una grande filosofia, una grande poesia, una grande arte. I materiali per questo si stanno elaborando proprio mentre noi parliamo.
      È evidente, tuttavia, che oggi bisogna fare della filosofia in mezzo alla vita contemporanea. Nel tumulto e nel fragore delle nostre città, le torri di avorio sono crollate; anche se, per avventura, un filosofo volesse auto-segregarsi sul culmine della montagna più elevata, basterebbe il rombo improvviso del motore di un aeroplano per ricondurlo alla realtà meccanica del mondo contemporaneo. Non doliamoci eccessivamente di questa realtà meccanica perché anche la meccanica, prima di essere movimento di volanti o di leve è proiezione dello spirito, calcolo, giuoco di numeri; e voi mi insegnate che fin dai tempi di Pitagora i numeri hanno una stretta parentela con la filosofia.

(segue...)