(segue) Relazione alla Camera sugli accordi del Laterano
(14 maggio 1929)
[Inizio scritto]
Tutti ricordano le fasi di questo
viaggio avventuroso: l'incontro fortuito tra Napoleone e il Papa, la
cerimonia dell'incoronazione, quando Napoleone si fece attendere
un'ora e mezzo, e parve annoiatissimo durante tutto il tempo della
cerimonia, e non volle la corona dal Papa, ma da se stesso se la pose
in testa. In questo momento Napoleone ritiene che il Papato gli possa
giovare. Quando intavola negoziati, dichiara ai suoi ambasciatori:
«supponete che il Pontefice abbia dietro di sé
duecentomila uomini». Ma poi, siccome quello del Pontefice era
un principato civile con territori, con porti, con una neutralità
che era più o meno rispettata, ma sulla quale Napoleone, ad
ogni modo, vigilava attentissimo, siccome tutto poteva nuocere, o
giovare a Napoleone nello svolgimento delle sue interminabili guerre,
entriamo nella terza fase dei rapporti tra lo Stato Pontificio e
Napoleone, fase della rottura: piena, clamorosa, completa.
Vi prego però di
considerare che quando Napoleone emanò a Schonbrunn, nel
maggio 1809, il suo famoso proclama, nemmeno allora si spinse sino a
Roma. Difatti all'art. 1 dice: «Lo Stato del Papa è
unito all'Impero Francese». All'art. 2: «La città
di Roma, prima sede del cristianesimo, e sì celebre per
antiche memorie e grandi monumenti che tuttora conserva, è
dichiarata città imperiale e libera. Il Governo e
l'amministrazione di essa saranno determinati da un particolare
statuto». Art. 6: «Le proprietà e i palazzi del
Papa, non solo non saranno sottoposti ad imposizione, giurisdizione o
a visita alcuna, ma godranno inoltre di immunità speciale».
Voi sentite in questo decreto
imperiale qualche cosa che vi ricorda la legge delle guarentigie del
1871. Pio VII risponde colla scomunica e Napoleone il 6 luglio dello
stesso anno replica colla violenta cattura del Papa. Tuttavia
Napoleone sembra riconoscere il suo errore, quando ritiene che il
Papa debba essere lasciato a Roma. «Il Papa — egli dice —
deve stare a Roma. Anzitutto perché, non voglio essere il capo
ecclesiastico della nazione. Si è troppo ridicoleggiato
Robespierre. E poi, soprattutto, perché il Papa è il
solo che possa aiutarmi nella mia opera di pacificazione interna e di
espansione all'estero. Non quello che può stare a Berlino o a
Vienna: il Papa è colui che sta in Vaticano: e non è
come se fosse a Parigi. Forse che se il Papa fosse a Parigi i
viennesi e gli spagnuoli seguirebbero le sue decisioni? Ed io le
seguirei forse s'egli fosse a Vienna o a Madrid?»
(segue...)
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