(segue) Relazione alla Camera sugli accordi del Laterano
(14 maggio 1929)
[Inizio scritto]
«E pareva che la Provvidenza
aspettasse l'ultimo e massimo esplicamento del primato divino e
indefettibile di Pietro, la definizione dell'infallibilità,
per lasciar cadere il suo regno terreno. Dopo aver collocato il
Pontefice sulla Cattedra incrollabile dell'infallibile suo magistero,
permetteva che gli fosse levato sotto i piedi lo sgabello, sì
piccolo e sì malfermo, della signoria temporale. La parabola
che quaggiù descrivono tutti gli esseri viventi, tutte le
istituzioni umane, nascendo, sviluppandosi, perfezionandosi, poi
invecchiando e morendo, si compiva e doveva compiersi eziandio
nell'istituzione umana del principato civile dei Papi».
Ma che cosa proponeva Monsignor
Bonomelli? Citiamo testualmente dal suo opuscolo:
«Dunque diasi al Papa almeno
la riva destra di Roma, con una striscia fino al mare, con una zona
di qualche chilometro dietro al Vaticano, dove si potrebbe a poco a
poco fabbricare una città nuova; essa sarebbe un Principato di
Monaco, una piccola repubblica di San Marino, o delle Andorre, alcun
che di simile. Qui non vi sarebbe alcun bisogno di pubblici uffici,
né di guarnigioni, per la sua piccolezza non potrebbe
suscitare timori e gelosie nel Governo italiano, né in altri
Governi. Sarebbe un Vaticano allargato con una popolazione di una
diecina di migliaia di anime o poco più. Pel Governo non
creerebbe alcun imbarazzo e lo libererebbe da molti e tosto. Sarebbe
una miniatura di Stato, senza noie, senza cura, senza pericoli pel
Papa, un ornamento per la Roma regia, una singolarità per
l'Europa. Tutti gli uffici ecclesiastici trasportati nella nuova
Sion, con le sue poste e telegrafi, con un tronco di ferrovia e tutti
gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede alloggiati intorno
al Vaticano, quasi testimoni e sentinelle veglianti alla sua
sicurezza.
«La nuova cittadella sarebbe
una terra di Gessen, un'oasi felice, un santuario nel cuore d'Italia,
un asilo di pace, il porto sicuro e tranquillo, il punto che irraggia
lume su tutta la terra e «al qual si traggon d'ogni parte i
pesi», il centro del mondo cattolico, la novella Sion, donde
partirebbero gli oracoli e le parole di vita. Quale spettacolo! Qual
gloria per l'Italia nostra! Da una parte, sul Quirinale, il Re
d'Italia; dall'altra, la forza morale, la prima forza morale d'Italia
e del mondo; dall'una parte la spada, dall'altra il pastorale:
dall'una parte il Pontefice, che prega e benedice; dall'altra il Re,
che impera: dall'una parte l'uomo della pace, dall'altra l'uomo della
guerra; dall'una parte gl'interessi del cielo e delle anime,
dall'altra gli interessi della terra e dei corpi; dall'una parte
muovono le schiere di pacifici conquistatori, che portano la civiltà
del Vangelo alle terre più lontane, dall'altra, muovono gli
eserciti che difendono le frontiere della Patria e si regolano le
flotte che solcano i mari: da una parte si curano i bisogni del
tempo, dall'altra si provvede a quelli della eternità. I mille
e mille pellegrini, laici e religiosi, missionari, suore, Vescovi,
uomini d'arti, di scienze, di lettere e d'armi che accorrono a Roma,
dopo aver visitato la Roma antica dei Cesari, la nuova Roma d'Italia,
varcando il Tevere deporrebbero a' piedi del Pontefice i loro omaggi,
ammirerebbero la grandezza e le glorie di Roma cristiana cattolica.
La destra e la sinistra del Tevere, il Quirinale e il Vaticano, il
Papa ed il Re, la religione e la patria, riunirebbero a vicenda i
riflessi del loro splendore, i raggi della loro gloria, e il grido di
giubilo di tutta Italia pacificata saluterebbe il Maestro infallibile
della Fede e il difensore della Patria. La destra e la sinistra del
Tevere sarebbero i due fuochi della elissi italiana, come scriveva
Vincenzo Gioberti. L'Italia sarebbe ancora la terra privilegiata,
faro del mondo e segno di invidia ai popoli. I nostri occhi
verserebbero lacrime di gioia inesprimibile; i nostri cuori
balzerebbero concitati, colmi, riboccanti di giubilo in quel dì,
che il Re e l'amabile Regina col giovane Principe, accompagnati dalla
Corte salissero le scale del Vaticano, e il candido Vegliardo, che vi
risiede, muovesse loro incontro e si abbracciassero, e i due grandi e
supremi amori della Religione e della Patria, si confondessero in un
solo e santo amore. Quel giorno, nel quale il Vegliardo del Vaticano
uscisse e si volgesse al Quirinale, tutta Roma si precipiterebbe sui
suoi passi, cadrebbe ginocchioni, leverebbe le mani a Lui, acclamando
e benedicendo: festa simile a quella l'Italia non l'avrebbe mai
vista. La bocca della empietà sarebbe chiusa, la Religione
tornerebbe regina, e il suo trionfo sarebbe assicurato. Io domando al
cielo di poter vedere quel giorno avventurato, e poi morire.
(segue...)
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