(segue) Relazione alla Camera sugli accordi del Laterano
(14 maggio 1929)
[Inizio scritto]
Ebbene, o signori, non abbiamo
risuscitato il potere temporale dei Papi: lo abbiamo sepolto. Col
Trattato dell'11 febbraio nessun territorio passa alla Città
del Vaticano all'infuori di quello che essa già possiede e che
nessuna forza al mondo e nessuna rivoluzione le avrebbe tolto. Non si
abbassa la bandiera tricolore, perché là non fu mai
issata.
Quando gli inglesi ci lasciarono
il Giubaland, all'atto di ammainare la bandiera, la misero in un
barile di terra perché volevano che la bandiera inglese fosse
ammainata sopra una terra che essi avrebbero portato con loro. Questo
vi dice che cosa è la bandiera, che cosa rappresenta
nell'anima è nello spirito di una Nazione la bandiera.
E se non vi è cessione di
territorio, vi è forse passaggio di sudditi? Nessuno, nessun
italiano che non lo voglia per sua propria spontanea volontà,
diventerà suddito di quello Stato che noi, con atto spontaneo
della nostra volontà di fascisti e di cattolici, abbiamo
creato!
Ora, stando così le cose,
io mi decisi a continuare le trattative. Bisogna riconoscere che,
d'altra parte, le difficoltà erano notevoli. C'è tutta
una tradizione ininterrotta di Papi che avevano reclamato per lo meno
Roma, e un Pontefice doveva assumersi la veramente terribile
responsabilità di cambiare indirizzo a questa azione. Anche il
Santo Padre doveva consultare la propria coscienza, perché,
probabilmente, se avesse chiesto consiglio attorno, molti, quelli che
ancora sognano i vecchi tempi, quelli che hanno ancora negli orecchi
le memorie dell'Orenoque, o le nostalgie dell'intervento straniero,
molti di costoro avrebbero agito per dissuaderlo.
Abbiamo avuto la fortuna di avere
dinnanzi a noi un Pontefice veramente italiano. Egli non si dorrà,
io credo, se la Camera fascista gli ha tributato questo plauso
sincero. Egli è il Capo di tutti i cattolici, la sua posizione
è supernazionale. Ma egli è nato in Italia, in terra
lombarda, e ha, della gente lombarda, la soda praticità e il
coraggio delle iniziative. È un uomo che ha molto vissuto
all'estero; ciò ha molto acuito, non attenuato, il suo senso
di italianità; egli è uno studioso, che accoppia a un
sentimento fervidissimo una dottrina formidabile; egli, sopra tutto,
sa che il Regime fascista è un Regime di forza, ma è
leale: dà quello che dà e non di più, e lo dà
con schiettezza, con franchezza, senza sotterfugi; egli sa che ci
sono delle questioni nelle quali siamo intransigenti al pari di Lui.
Se durante tutto il 1927 le cose stagnarono e tutto si limitò
al mantenimento di personali contatti, ciò si deve al dissidio
determinato per l'educazione delle giovani generazioni, per la
questione dei boy-scouts cattolici, questione la cui soluzione voi
conoscete.
(segue...)
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