(segue) Relazione alla Camera sugli accordi del Laterano
(14 maggio 1929)
[Inizio scritto]
Ognuno pensi che non ha di fronte
a sé lo Stato agnostico demoliberale, una specie di materasso
sul quale tutti passavano a vicenda; ma ha dinanzi a sé uno
Stato che è conscio della sua missione e che rappresenta un
popolo che cammina, uno Stato che trasforma questo popolo
continuamente, anche nel suo aspetto fisico. A questo popolo lo Stato
deve dire delle grandi parole, agitare delle grandi idee e dei grandi
problemi, non fare soltanto dell'ordinaria amministrazione. Per
questa anche dei piccoli Ministri dei piccoli tempi erano
sufficienti.
Onorevoli camerati!
Voi avete inteso, e soprattutto
deve avere inteso il popolo italiano, devono avere inteso i nostri
fascisti, i migliori dei nostri camerati, che costituiscono sempre la
spina dorsale del Regime. Ho parlato netto e chiaro per il popolo
italiano: credo che il popolo italiano mi intenderà. Con gli
atti dell'11 febbraio il Fascismo raccomanda il suo nome ai secoli
che verranno. Quando, nel punto culminante delle trattative, Camillo
Cavour, ansioso, raccomandava a Padre Passaglia: «portatemi il
ramoscello d'olivo prima della Pasqua», egli sentiva che questa
era la suprema esigenza della coscienza e del divenire della
Rivoluzione nazionale. Oggi, onorevoli camerati, noi possiamo portare
questo ramoscello d'olivo sulla tomba del grande costruttore
dell'unità italiana, perché soltanto oggi la sua
speranza è realizzata, il suo voto è compiuto!
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