(segue) Discorso al Senato sugli accordi del Laterano
(25 maggio 1929)
[Inizio scritto]
Parigi e la Messa. Vi si vorrebbe
dare ad intendere che è per opportunismo che noi ascoltiamo la
Messa, la quale avrebbe per posta: Parigi; nel nostro caso Roma. È
una posta solenne tuttavia! Ma niente opportunismo, Perché noi
non abbiamo aspettato il Patto del Laterano per fare la nostra
politica religiosa. Essa risale al 1922; anzi al 1921! Vedi il mio
discorso del giugno alla Camera dei deputati.
E fu conseguente e rettilinea, pur
non cedendo mai tutte le volte che era in giuoco la dignità,
il prestigio e l'autonomia morale dello Stato.
Ricordo anche a voi che le
trattative subirono una interruzione per la nota questione degli
esploratori cattolici. Il senatore Crispolti ha concluso il suo
discorso con un interrogativo: Durerà la pace? La pace durerà.
Perché prima di tutto questa pace non è un dono che
abbiamo trovato per strada, e per caso. È il risultato di tre
anni di lunghe, difficili e delicate trattative. Ogni articolo, ogni
parola, si può dire ogni virgola, è stato oggetto di
discussioni leali, tranquille ma esaurienti. Ogni articolo
rappresenta il necessario punto d'incontro tra le esigenze dello
Stato e le esigenze della Chiesa.
Non è dunque una
costruzione miracolistica, sbocciata improvvisamente; è una
cosa lungamente, sapientemente elaborata. Questo è uno degli
attributi che ne garantiscono la durata.
Durerà anche perché
questa pace ha toccato profondamente il cuore del popolo, perché
noi non ci faremo prendere al laccio né dai massoni né
dai clericali, che sono interdipendenti gli uni dagli altri.
E d'altra parte, di questi
Protocolli lateranensi ve ne è uno che non può essere
oggetto di discussione; ed è il Trattato. Gli eventuali
dissidi avranno un altro terreno: quello del Concordato. Ebbene, c'è
dunque da dipingere l'orizzonte in nero se domani, per avventura, in
occasione della nomina di un vescovo ci sarà un punto di vista
diverso tra noi e la Santa Sede? Ma questa è la vita, signori!
Avremo noi la viltà del palude, cioè la viltà
dell'uomo che vuole star fermo, immobile, pur di non affrontare i
necessari rischi che sono legati al fatto di vivere? Tanto vale
rinunziare alla vita!
(segue...)
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