(segue) Discorso al Senato sugli accordi del Laterano
(25 maggio 1929)
[Inizio scritto]
Questa è la nostra
concezione della vita, sia che si riferisca agli individui, come ai
popoli e alle istituzioni nelle quali questi popoli trovano la loro
organizzazione giuridica e politica. Voi non vi spaventate, né
mi spavento io, dicendo che degli attriti vi saranno, malgrado la
separazione nettissima fra ciò che si deve dare a Cesare e ciò
che si deve dare a Dio, ma quando soccorrono la buona fede e il senso
d'italianità questi dissidi saranno superati, perché la
Santa Sede sa d'altra parte che il Regime fascista è un Regime
leale, schietto, preciso, che dà la mano aperta, ma che non dà
il braccio a nessuno e nessuno può pretenderlo, perché
nessuno lo avrebbe.
Di fronte alla Città del
Vaticano è oggi il Regime fascista, creatore di nuove forze
economiche, politiche, morali, che fanno di Roma uno dei centri più
attivi della civiltà contemporanea! Di fronte alla Santità
dei Papi, sta la Maestà dei Re d'Italia, discendenti di una
dinastia millenaria!
Non vorrei, onorevoli senatori,
che delle discussioni troppo minute — la eterna ricerca delle
farfalle sotto gli archi di Tito — obnubilassero la grandiosità
dell'evento. Pensate che dai tempi di Augusto, Roma fu solo dal 1870
di nuovo Capitale d'Italia, e pensate che dal 1870 in poi su questa
nostra grande Roma c'era una riserva, un'ipoteca. E colui che la
metteva non era un Duca o un Principe qualunque, di quelli che
abbiamo spodestato quando l'Italia era in pillole: era il Capo
Supremo della Cattolicità; e coloro che erano rappresentati
presso di lui contavano su questa riserva. E la riserva era posta non
sopra un territorio lontano, periferico o trascurabile, ma su Roma.
C'erano delle potenze, lo si può dire apertamente, che si
compiacevano che nel fianco dell'Italia fosse ancora confitta una
spina...
(segue...)
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