(segue) Al gran rapporto del Fascismo
(14 settembre 1929)
[Inizio scritto]
Ciò significa, forse,
chiusura ermetica di ogni spiraglio dal quale possa filtrare il
dissenso o la critica?
Affatto. Un conto sono le
direttive fondamentali della Rivoluzione, sulle quali non bisogna
discutere e, se necessario, discutere con una estrema discrezione e
in apposita sede, com'è del resto accaduto sempre dall'ottobre
1922 in poi, e un conto sono le gestioni amministrative ed i servizi
dello Stato. Non cade il mondo e meno ancora il Regime se le grandi
amministrazioni centrali dello Stato e quelle autarchiche periferiche
potranno essere, com'è già avvenuto, oggetto di
discussione e di critica da parte dei competenti. Non cade il mondo,
e meno ancora il Regime, se d'ora innanzi, come da istruzioni già
impartite, i podestà di Comuni con popolazione superiore a
100.000 abitanti dovranno convocare la Consulta una volta al mese.
Non cade il mondo, e meno ancora il Regime, se la Camera fascista
svolgerà in tutta tranquillità e utilità la sua
funzione di controllo su tutta l'amministrazione dello Stato. La
critica per la critica è insulsa, la critica in malafede è
antifascismo; ma la critica fatta senza secondo fine e con un solo
fine — quello cioè di perfezionare incessantemente lo
Stato nella sua amministrazione — è feconda e deve
essere accolta dagli uomini responsabili, e non infallibili, non con
acrimonia, ma con soddisfazione. Il fatto di passare a controllo
severo, ma obiettivo, le amministrazioni statali, avrà
benefiche ripercussioni anche nell'alta burocrazia.
Insomma deve realizzarsi
nell'ambito dell'attività amministrativa e legislativa una
viva, continua, cameratesca collaborazione tra Camera e Governo, fra
fascisti della Camera e fascisti del Governo, gli uni e gli altri di
una sola cosa ansiosi e pensosi: della vita, dello sviluppo della
gloria, della potenza della Rivoluzione e dello Stato fascista.
In data 19 marzo S. E. Augusto
Turati mi dirigeva la seguente lettera:
(segue...)
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