(segue) I discorsi di Livorno, Lucca e Firenze
(11, 12, 17 maggio 1930)
[Inizio scritto]
In questi otto anni molti di
questi nodi di Gordio sono stati tagliati dalla nostra inflessibile e
durissima spada, in tutti i campi, dal politico al morale, al
religioso, all'economia. Oggi, dinanzi a noi, non sono che dei
problemi dì ordine economico nella politica interna; sono
importanti, ma in questa città dello spirito io non voglio
esagerarne la portata. Si vive di pane, o Camicie nere, ma non
soltanto di pane.
Dovrò dunque pensare che il
prodigio divino del campanile giottesco fu elevato soltanto per dare
del lavoro alla corporazione dei marmorai dell'epoca? Fu invece un
profondo bisogno dello spirito, così come per la forza dello
spirito sono sorti i vostri palagi e tutta la vostra storia è
nata e rinata nei secoli.
Ogni anno segna una data: nel 1925
noi fracassammo irreparabilmente l'Aventino; nel 1926 demmo la legge
fondamentale sui Sindacati; nel 1927 la Carta del Lavoro e la riforma
monetaria; nel 1928 la bonifica integrale; nel 1929 il plebiscito
volontario di tutto il popolo italiano, attorno al simbolo del
Littorio e la Conciliazione, evento che raccomanda il Fascismo per i
secoli che verranno; nel 1930 il cantiere è sempre sonante di
opere, e, se volessi, potrei continuare a fissare il nostro programma
anno per anno, almeno ancora per un decennio.
Un decennio, ma intendo il
decennio come ordine del giorno, non già come durata, perché
oggi, dinanzi a questa moltitudine fremente, nella quale il Fascismo
è diventato carne della sua carne, sangue del suo sangue,
voglio modificare leggermente il calcolo di piazza Belgioioso a
Milano e dico: non 60 anni, ma un secolo intero ci appartiene!
Dopo otto anni di questa dura e
quotidiana fatica, io vi domando se voi mi vedete in qualche cosa
cambiato. Non credete, non dovete credere che la necessaria fatica
dell'ufficio abbia diminuito in qualche cosa la mia naturale
combattività. All'interno non abbiamo più nemici che
osino mostrarsi a viso aperto.
(segue...)
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