(segue) Al popolo napoletano
(25 ottobre 1931)
[Inizio scritto]

      Dovrò dunque ricordare agli italiani, più o meno immemori, che nel lontano luglio 1820, nella vostra terra e fra la vostra gente si ebbero i primi aneliti per l'unità e l'indipendenza della Patria? E non trovate voi qualche cosa di arcano nel fatto che fosse un napoletano quel condottiero di eserciti che ci condusse alla Vittoria, sigillando, dopo un secolo, il ciclo che avevano iniziato gli ardimentosi di Nola?
      Durante questi nove anni molto abbiamo operato e la mole della nostra opera è così schiacciante che ammutolisce quelli che si abbandonano ancora alle vociferazioni sordide, inutili e vili.
      Ma molto di più avremmo fatto se, alla fine del 1929, quando la nostra nave era già in vista del porto, non si fosse scatenata la bufera mondiale che ci ha costretti a rallentare il ritmo della nostra fatica. Quali sono le direttive in fatto di politica mondiale della Rivoluzione fascista, sulla soglia dell'anno decimo?
      Sono precise ed immutabili. Non sono pochi, oggi, nel mondo, coloro che affrontano i problemi della ricostruzione europea dal nostro punto di vista.
      Sono passati nove anni da quando l'Italia fascista, a Londra, pose il problema delle riparazioni e dei debiti, nei termini che oggi sono all'ordine del giorno. Ma noi ci domandiamo: dovranno veramente passare sessanta lunghissimi anni prima che si ponga la parola fine alla tragica contabilità del dare e dell'avere spuntata sul sangue di dieci milioni di giovani che non vedranno più il sole?
      E si può dire che esista una uguaglianza giuridica tra le nazioni quando da una parte stanno gli amatissimi fino ai denti e dall'altra vi sono Stati condannati ad essere inermi? E come si può parlare di ricostruzione europea, se non verranno modificate alcune clausole di alcuni trattati di pace che hanno spinto interi popoli sull'orlo del baratro materiale e della disperazione morale?

(segue...)