La Roma di Mussolini
(18 marzo 1932)
Discorso
pronunciato ai Senato nella tornata del 18 marzo 1932.
Onorevoli Senatori!
La discussione che sull'attuale
disegno di legge si è svolta in questa Assemblea è
stata ampia ed alta, tuttavia serrata e degna di questa Assemblea,
che prende il suo nome da una di quelle che furono le istituzioni
fondamentali di Roma antica. Siccome mi reputo senza falsa modestia
il padre spirituale del piano regolatore di Roma, mi sento in dovere
di interloquire sull'argomento.
Se qualcuno mi domandasse: il
piano regolatore è perfetto? risponderei immediatamente di no.
Prima di tutto, perché la perfezione non è attingibile
dagli umani mortali, poiché se alla perfezione gli uomini
potessero giungere cambierebbero la loro natura. Poi è stato
fatto da una Commissione, e Napoleone avvertiva che un generale
mediocre può vincere una battaglia ma che 5 generali sublimi
corrono il rischio di perderla. (Si ride).
Terza ragione e forse non ultima:
la gravità e la delicatezza estrema del problema.
Il sen. Corrado Ricci vi ha
tracciato la storia del travaglio attraverso il quale nel piano
regolatore bisognava conciliare due opposte esigenze: il rispetto
della Roma antica e la necessità della Roma moderna. Tutto
sommato, dichiaro che ci troviamo dinanzi al miglior piano regolatore
pensabile ed attuabile.
Non ho bisogno di dire a voi che
cosa significhi Roma nella storia del mondo e nella storia d'Italia.
Basta pensare che senza le pagine della storia di Roma, tutta la
storia universale sarebbe terribilmente mutilata e gran parte del
mondo contemporaneo sarebbe incomprensibile.
Ma, quando veniamo a tempi più
recenti e sentiamo echeggiare nel nostro orecchio il grido fatale di
Garibaldi: «O Roma o morte», ciò significa che per
gli italiani di quell'epoca, ed anche della nostra, quell'antitesi
stessa viene a significare che Roma è fonte di vita, senza
della quale non varrebbe la pena di vivere. Ma udite un uomo che
meriterebbe forse di essere portato in più alto piano della
storia del Risorgimento italiano, parlo di Bettino Ricasoli, il
barone di ferro, udite quello che egli scriveva al conte Luigi
Torelli, il quale fu il primo che il 18 marzo 1848 issò la
bandiera tricolore sul Duomo di Milano, partecipò a tutte le
attività politiche e militari del Risorgimento e fini
giustamente prefetto del Regno. (Si ride).
(segue...)
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