Italia e Ungheria
(17 ottobre 1932)


      Ricevendo a Palazzo Venezia la delegazione delle Associazioni Nazionalisti Ungheresi, diretta da S. E. De Pekar, il 17 ottobre 1932, S. E. il Capo del Governo, alle parole rivoltegli dal Ministro Ungherese, rispondeva nei termini seguenti:

      Eccellenza De Pekar, Signori!
      E' con viva commozione che io ho ascoltato le vostre parole, Eccellenza De Pekar, ed è con emozione ancor più profonda che ricevo il dono che mi recate, nel compiersi di questo primo decennio dalla Marcia su Roma, dono che ha un grande significato morale, poiché mi è grato pensare che dietro ai due milioni di Ungheresi, che hanno firmato, tutto il popolo Ungherese è firmatario di questo indirizzo, che non raccoglie soltanto una moltitudine di nomi; ma una moltitudine di cuori.
      In questi cuori Ungheresi vibra un sentimento d'amicizia per il popolo italiano, sentimento che eventi storici e uomini insigni fecero nascere e fortificarono, e nessuno più di voi. Eccellenza De Pekar, conosce intimamente questo passato.
      Il popolo italiano ricambia con moto spontaneo dell'animo questo sentimento di amicizia e ne apprezza l'alto significato. Si può dire, senza cadere nell'enfasi, che tra i due Paesi, l'amicizia non è soltanto direttiva di politici, ma patrimonio delle masse. Come nel primo decennio del Regime Fascista, così anche nel secondo, non cambierà il nostro atteggiamento di fronte alle evidenti e stridenti violazioni della Giustizia, commesse ai danni dell'Ungheria. Se si vuole la pace in Europa, se si vuole che la comunità europea possa riprendere, è necessario riparare queste ingiustizie, poiché un popolo di alta civiltà e ricco di storia, come il popolo magiaro — il quale ha una sua missione precisa e insostituibile nel Bacino danubiano — non può essere sacrificato e ridotto alla impossibilità di vivere. Dissi una volta e confermo che i trattati di pace non sono eterni. Oggi aggiungo, che, soprattutto, non sono eterni i trattati di pace, come quello del Trianon, che fu inspirato da calcoli politici, che l'esperienza e il tempo hanno già condannato.

(segue...)