(segue) Primo discorso per il decennale
(17 ottobre 1932)
[Inizio scritto]

      È tempo di dire una cosa che forse sorprenderà voi stessi, e che cioè, fra tutte le insurrezioni dei tempi moderni, quella più sanguinosa è stata la nostra.
      Poche diecine di morti richiedette l'espugnazione della Bastiglia, nella quale di prigionieri politici non c'era più nessuno. Le migliaia, le diecine di migliaia di morti vennero dopo, ma furono volute dal terrore.
      Quanto poi alle Rivoluzioni contemporanee, quella russa non ha costato che poche diecine di vittime. La nostra, durante tre anni, ha richiesto vasto sacrificio di giovane sangue, e questo spiega e giustifica il nostro proposito di assoluta intransigenza politica e morale.
      Siamo alla fine del primo Decennio. Voi non vi aspetterete da me il consuntivo. Io amo piuttosto di pensare a quello che faremo nel Decennio prossimo. (Applausi) Del resto basta guardarsi attorno, per convincersi che il nostro consuntivo è semplicemente immenso. Ma avviandoci al secondo Decennio occorrono delle direttive di marcia. Comincerò da quella che personalmente mi riguarda. Io sono il vostro Capo (applausi vivissimi; grida di: «Viva il Duce!»), e sono, come sempre, pronto ad assumermi tutte le responsabilità! (Applausi). Bisogna essere inflessibili con noi stessi, fedeli al nostro credo, alla nostra dottrina, al nostro giuramento e non fare concessioni di sorta, né alle nostalgie del passato, né alle catastrofiche anticipazioni dell'avvenire.
      Tutti coloro che credono di risolvere la crisi con rimedi miracolistici sono fuori di strada. O questa è una crisi ciclica «nel» sistema e sarà risolta; o è una crisi «del» sistema, ed allora siamo davanti a un trapasso da un'epoca di civiltà ad un'altra. Là dove si è voluto esasperare ancora di più il capitalismo facendone un capitalismo di Stato, la miseria è semplicemente spaventosa. (Applausi).

(segue...)