(segue) Al popolo di Torino
(23 ottobre 1932)
[Inizio scritto]

      Finalmente Torino deve avere lavoro per le sue maestranze. E tutto quello che è stato creato dal coraggio, dalla tenacia e dalla genialità dei torinesi, deve rimanere a Torino! (Vivissimi entusiastici e prolungati applausi).
      Qualcuno pensa che noi ci preoccupiamo dell'inverno dal punto di vista politico. È falso. Dal punto di vista politico potrebbero passare anche cinquanta inverni grigi, senza che nulla accada, tanto più che, dopo gli inverni grigi, verranno — a premiare il nostro coraggio — le primavere del benessere e della gloria. Ma è dal punto di vista umano che io mi preoccupo, perché il solo pensiero di una famiglia senza il necessario per vivere, mi dà un'acuta sofferenza fisica. Io so, per averlo provato, che cosa vuol dire la casa deserta ed il desco nudo. (Grande ovazione).
      Camerati torinesi! Questa veramente magnifica comunione di spiriti, per cui noi in questo momento siamo un solo cuore ed una sola anima (si grida: «Sì!»), non potrebbe chiudersi senza rivolgere un pensiero pieno di profonda devozione alla Maestà del Re (scroscianti applausi), che rappresenta la continuità, la vitalità, la santità della Patria. (Grande ovazione).
      Quale dunque è la parola d'ordine per il nuovo decennio, verso il quale noi andiamo incontro con l'anima dei vent'anni? La parola è questa: «Camminare, costruire e, se è necessario, combattere e vincere!».