(segue) XXIV Maggio
(23 maggio 1933)
[Inizio scritto]

      La situazione diventa di ora in ora sempre più critica: gli italiani fanno seguire gli assalti agli assalti e noi soltanto a prezzo di enormi perdite riusciamo a contenerli.
      E gli italiani? Giù il cappello! Lotte selvagge e disperate hanno luogo fra noi e loro, e soltanto la morte parla. Gli italiani vengono all'assalto in masse compatte e subiscono perdite indescrivibili; si fanno macellare in massa, ma pure continuano sinché pochi uomini rimangono in piedi. E questa lotta prosegue senza posa seminando morte e sterminio.
      La 5a Armata ha perduto ben 36.470 uomini, di cui 18.950 del Corpo d'Armata dell'Arciduca (VII).
      Dopo questa grave battaglia — nella quale le due parti belligeranti, nonostante gli sforzi sovrumani compiuti, sono rimaste ai punti di partenza — debbo constatare che per le mie truppe il risultato rappresenta una vittoria, per il modo come esse si sono difese e per la tenacia con la quale hanno conteso il passo all'assalitore.
      Ma non posso qui non riconoscere l'immenso lavoro compiuto dagli italiani, i quali gettandosi quotidianamente contro il cerchio d'acciaio dei miei eroi, con inaudito disprezzo della morte e subendo perdite terribili, soltanto per poco non riuscirono ad aver ragione della nostra resistenza eroica. Ciò che qui hanno fatto gli italiani va scritto a caratteri immortali nel libro d'oro della Storia. Queste due Nazioni che — costrette dalla sorte — combattono con selvaggia disperazione una lotta per la vita o per la morte, meglio starebbero l'una vicina all'altra amiche. Fra gli italiani e ungheresi ben poche sono le ragioni di dissidio.
      Il 15 novembre 1915:
      Debbo riconoscere che gli italiani attaccano con incredibile tenacia e Cadorna può essere fiero delle sue truppe.

(segue...)