Ritorno alla Terra
(4 luglio 1933)
Questo articolo
venne scritto per i giornali dell'«Universal Service»
degli Stati Uniti d'America. Fu pubblicato dal «Popolo
d'Italia» del 4 luglio 1933.
Nei Paesi a tipo di economia
prevalentemente industriale e nei quali l'impiego sempre più
intensivo della macchina ha creato una disoccupazione permanente, che
si chiama tecnologica, sorge di quando in quando il grido di «tornare
alla terra!». I programmi di molti partiti politici nelle varie
nazioni del mondo, contengono questo postulato. L'agricoltura torna
ad essere sul primo piano, non solo in Italia, ma in Germania, in
Inghilterra, negli Stati Uniti. Già nel più intenso
fiorire dell'economia capitalistica, i sociologi avvertirono il
disquilibrio — non soltanto demografico — che veniva
formandosi fra la campagna e la città. Ricordo di avere letto
un libro sull'argomento, scritto da un economista belga, almeno 25
anni fa. La guerra spopolando le campagne, inflazionando le città,
ha ancora aggravato il fenomeno: gli uomini pensosi del destino delle
loro nazioni gridano ora che bisogna fare macchina indietro. Si
tratta di vedere, se questo è possibile nei limiti della
volontà umana. Nel periodo che si può chiamare aureo
del Capitalismo industriale, gli uomini dei campi furono attratti
alla città dalla sicurezza del lavoro e dalla comodità
del salario. Il contadino in Italia non vede molto denaro: ciò
accade soltanto all'epoca dei raccolti. L'operaio, invece, ha un
salario quindicinale. La crisi è venuta. Queste masse
imponenti di ex-contadini o di ex-abitanti delle piccole borgate
rurali, hanno probabilità di essere riassorbiti in una ripresa
dell'industria? Le probabilità sono assolutamente incerte.
Bisogna rassegnarsi a subire un'aliquota più o meno forte di
disoccupazione cronica. È possibile di ricondurre ai loro
villaggi questa massa di ex-contadini che li abbandonò? È
possibile, ma non bisogna farsi molte illusioni.
(segue...)
|