(segue) Dopo Londra
(29 luglio 1933)
[Inizio scritto]
Come io dissi nel mio discorso al
Senato del 7 giugno, non bisogna, nemmeno a proposito del Patto a
quattro, abbandonarsi ad eccessive illusioni. L'importanza del Patto
a quattro consiste nel fatto di aver evitato la formazione di blocchi
antagonistici in Europa e nell'aver offerto ai quattro Paesi
dell'Europa occidentale che rappresentano insieme con le colonie un
terzo della popolazione del Globo, la possibilità di
collaborare insieme, ai fini della pace. Questa collaborazione non
sarà sempre agevole, ma sarà sempre facilitata da una
migliore atmosfera, da quella vera e propria distensione dei nervi
che si nota da due mesi a questa parte in Europa. L'idea che per
dieci anni l'Europa sarà tranquilla, costituisce un forte
incentivo per un miglioramento nella situazione generale. Non duemila
delegati si riuniranno attorno a un tavolo per discutere, ma quattro
elementi responsabili, il cui lavoro sarà stato
preventivamente elaborato nelle Cancellerie o con contatti ufficiosi.
Io credo che ai fini dello stesso
prestigio morale e politico degli Stati convenga mettere l'embargo
sulle conferenze. Per qualche anno, questa parola deve scomparire dal
dizionario della politica contemporanea, deve essere dimenticata.
Solo con la astinenza si corregge un abuso. Io ho fatto delle curiose
esperienze politiche in questa materia. Oggi, la conferenza è
decriée. Fra qualche anno potrà interessare di
nuovo e — limitata sempre a determinati problemi e determinati
Paesi — essere di qualche utilità. Specie se consacrerà
in forma solenne degli accordi stabiliti in precedenza. Anche qui si
tratta di correggere gli abusi e le degenerazioni di una male intesa
democrazia, secondo la quale non i piloti dovrebbero guidare la nave,
ma gli ignoranti che non sanno consultare una bussola. È tempo
di dire che questi sistemi conducono a sicura rovina gli Stati e con
essi i popoli. Questa è la parodia o la caricatura della
democrazia, che, rispondendo a una inchiesta del grande sociologo
Gustave Le Bon, io ho altra volta definito come la dottrina e il
regime nel quale si dà l'illusione intermittente al popolo di
essere sovrano. Così a Londra si è voluto dare
l'illusione a una folla di uomini più o meno preparati di
poter guidare i destini dell'umanità. La democrazia, in fondo,
non può che parlare, vive della parola e per la parola, ma in
tempi di crisi i popoli non domandano di essere propagandati,
vogliono invece essere comandati: il tempo della inutile discussione
deve cedere allora il passo al tempo della pronta obbedienza. La
Storia anche qui è maestra, ma gli uomini sono, spesso, degli
scolari negligenti è incorreggibili.
(segue...)
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