(segue) Al popolo di Cuneo
(24 agosto 1933)
[Inizio scritto]
In questa piazza, cuore della
vostra bella città, ai piedi di quella chiostra alpina che non
dovrà mai più in nessun punto essere violata da
eserciti nemici o da genti straniere (la folla prorompe in una
delirante ovazione), io voglio dire, attraverso voi, a tutto il
popolo italiano, che i seimila anni di storia umana che noi
conosciamo, ci danno una chiara lezione, questa: che bisogna essere
forti.
I popoli forti hanno amici vicini
e lontani, in tempo di pace; in caso di guerra sono temuti. I popoli
deboli, in tempo di pace sono soli e trascurati; in caso di guerra
corrono il rischio supremo di essere schiacciati.
Bisogna essere forti prima di
tutto nel numero, poiché se le culle sono vuote la nazione
invecchia e decade. Bisogna essere forti nel coraggio, non voltarsi
mai indietro quando una decisione s'è presa, ma andare sempre
avanti. Bisogna essere forti nel carattere, in modo che l'equilibrio
non si turbi né quando la nazione è illuminata dal sole
della gloria, né quando è percossa dai colpi immeritati
del destino.
Posso esprimermi in questi
termini, perché nessuno può contestare al Governo ed al
popolo italiano il desiderio sincero di pace, e ne abbiamo dato le
prove. Quattordici anni di dure lotte, che hanno temprato noi
veterani a tutte le prove, che hanno creato nuove generazioni
impazienti di temprare le loro energie, di dimostrare il loro
ardimento, hanno fatto di questo popolo italiano, di cui io porto nel
cuore un amore profondo e la ragione stessa della mia vita (grida e
acclamazioni ripetuta della folla), una massa umana, compatta, unita,
concorde, che nessun elemento può minimamente incrinare! (La
folla grida: Mai, Duce!).
È questa l'Italia fascista
che si affaccia al meriggio del ventesimo secolo, come l'unica
nazione che ha una parola ed una dottrina di salvezza e di vita da
dare a tutti i popoli civili della terra. (Acclamazioni).
(segue...)
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