(segue) Discorso del XIV novembre per lo Stato Corporativo
(14 novembre 1933)
[Inizio scritto]

      L'Italia a mio avviso deve rimanere una Nazione ad economia mista, con una forte agricoltura che è la base di tutto, tanto è vero che quel piccolo risveglio delle industrie che si è verificato in questi ultimi tempi è dovuto, come è opinione unanime di coloro che se ne intendono, ai raccolti discreti dell'agricoltura in questi ultimi anni; una piccola e media industria sana, una banca che non faccia delle speculazioni, un commercio che adempia al suo insostituibile compito che è quello di portare rapidamente e razionalmente le merci ai consumatori.
      Nella dichiarazione che io ho presentata ieri sera, era definita la Corporazione così come noi la intendiamo e la vogliamo creare, e sono definiti anche gli obbiettivi. Vi è detto che la Corporazione è fatta in vista dello sviluppo della ricchezza, della potenza politica e del benessere del popolo italiano. Questi tre elementi sono condizionati fra di loro.
      La forza politica crea la ricchezza, e la ricchezza ingagliardisce a sua volta l'azione politica.
      Vorrei richiamare la vostra attenzione su quanto è detto come obbiettivo: il benessere del popolo italiano. È necessario che a un certo momento questi istituti che noi abbiamo creati siano sentiti e avvertiti direttamente dalle masse come strumenti attraverso i quali queste masse migliorano il loro livello di vita.
      Bisogna che ad un certo momento l'operaio, il lavoratore della terra possa dire a se stesso e dire ai suoi: se io oggi sto effettivamente meglio, lo si deve agli istituti che la Rivoluzione fascista ha creati.
      In tutte le società nazionali c'è la miseria inevitabile.
      C'è una aliquota di gente che vive ai margini della società; di essa si occupano speciali istituzioni. Viceversa quello che deve angustiare il nostro spirito è la miseria degli uomini sani e validi che cercano affannosamente e invano il lavoro. (Vivissimi e prolungati applausi).

(segue...)