(segue) La situazione economica
(26 maggio 1934)
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      Adesso vediamo i salari reali settimanali. Fatto 100 l'anteguerra (1914), nell'Africa del Sud i salari sono 107, nell'Australia 117, nella Nuova Zelanda 108, nell'Inghilterra 128, nella Cecoslovacchia 131. Salari reali giornalieri in alcuni Paesi rispetto all'anteguerra, base 100 nel 1914: Svizzera 156, Svezia 152, Germania 107, Francia 130.
      Vediamo ora in Italia. Il salario nominale giornaliero medio, secondo le indagini salariali dell'Istituto nazionale fascista contro gli infortuni sul lavoro, era nel 1914, di 3,54; orario 0,35. Nel 1933 è del 15,25; il salario orario da 0,35 è passato a 1,90. Questi sono i dati dell'Istituto per gli infortuni sul lavoro. Prendiamo i dati di un cittadino privato, Mortara, il quale stabilisce che il salario orario nel 1914 era di 0,34 e conferma che il salario orario nel 1933 è di 1,90.
      Ora, se tutti in Italia lavorassero, non ci sarebbe gran che da dire su questo salario, perché evidentemente, i salari alti danno la capacità di consumo alle masse e danno, quindi, un certo lavoro all'industria. Ma, quando c'è la disoccupazione che sta diventando un problema sempre più serio, non bisogna più mettere l'accento sulla frase: «Quantità di salari»; bisogna mettere l'accento sulle parole «esistenza e, soprattutto, continuità del salario».
      Questo lo dico, soprattutto, ai camerati che hanno contatto cogli operai, ai quali devono parlare il linguaggio fascista, che è nettamente antidemagogico. (Vivissimi applausi).
      Si capisce che è più facile di andare davanti a una massa di operai e dire: «Vi si aumentano i salari». Si riscuotono molti applausi, ma, viceversa, il dovere del fascista è quello di dire: «fate questo sacrifizio perché questo permetterà di sostenere la battaglia sui mercati internazionali, farà fiorire la nostra esportazione, darà lavoro a voi continuativo e a quelli che non l'hanno». (Vivissimi applausi).

(segue...)