(segue) La vertenza italo-etiopica e la politica estera italiana alla Camera
(25 maggio 1935)
[Inizio scritto]

      È con orgoglio, ma non senza emozione, che io penso ai fanti della «Peloritana», scaglionati sull'Oceano Indiano (l'Assemblea scatta in piedi acclamando entusiasticamente l'Esercito ed il Duce), lungo la linea dell'Equatore, ad 8000 chilometri di distanza dalla Madre Patria!
      Questo orgoglio e questa emozione sono di tutto il Popolo italiano, che segue, con disciplina perfetta, con calma assoluta, lo svolgimento prevedibile degli eventi!
      Solo uomini in malafede, solo dei nemici subdoli o palesi dell'Italia fascista possono fingere stupore e simulare proteste per le misure militari che abbiamo prese e per quelle che prenderemo. (Applausi vivissimi e reiterate grida di: «Duce! Duce!»).
      Abbiamo ciò nonostante aderito alla procedura di conciliazione e di arbitrato, limitatamente ben inteso all'incidente di Ual-Ual, e malgrado talune anormalità della Commissione stessa, come, ad esempio, la rappresentanza della parte avversa, che non è abissina (si ride); ma nessuno, specie in Italia, deve nutrire soverchie illusioni al riguardo.
      Così nessuno deve sperare di fare dell'Abissinia una nuova pistola che sarebbe puntata perennemente contro di noi e che in caso di torbidi europei renderebbe insostenibile la nostra posizione nell'Affrica Orientale (approvazioni): ognuno si metta bene in mente che quando si tratta della sicurezza dei nostri territori e della vita dei nostri soldati noi siamo pronti ad assumerci tutte, anche le supreme, responsabilità.