Il “dato” irrefutabile
(31 luglio 1935)
Con questo
articolo, pubblicato come fondo editoriale sul Popolo d'Italia del 31
luglio 1935-XIII, S. E. il Capo del Governo precisava nettamente i
termini realistici della nostra politica nell'Affrica Orientale, di
fronte alle ingerenze britanniche e alla Società delle
Nazioni. S'impresse negli animi, e fu poi spesso ripetuta anche dai
polemisti avversari, la frase che si riferisce alla unica soluzione
possibile, «con Ginevra, senza Ginevra, contro Ginevra».
È quasi superfluo spiegare che «il barbuto profeta di
Treviri», a cui si allude ironicamente in questo volume, è
Carlo Marx.
Alcuni motivi polemici, che in
ritorsione ad altri della stampa straniera, sono stati illustrati
dalla stampa italiana a proposito del conflitto italo-etiopico, sono
motivi di ordine marginale sui quali non è necessario
insistere oltre.
Che in Etiopia esista la schiavitù
— cioè la compravendita degli uomini — è
ammesso dallo stesso negus. Che tale commercio assuma forme atroci, è
documentato in mille inchieste, sopra tutto di fonte inglese,
l'ultima delle quali risale al 1932. Che l'Etiopia, entrando a
Ginevra, avesse solennemente promesso di abolire la schiavitù,
è anche vero, e che non ne abbia fatto nulla, è
riconosciuto pacificamente dovunque, Londra compresa. Ciò
stabilito bisogna subito aggiungere che non è per abolire il
commercio degli schiavi che l'Italia si è preparata e si
prepara militarmente nelle sue Colonie dell'Affrica Orientale.
L'abolizione della schiavitù non è un obiettivo, ma
sarà una logica conseguenza della nostra politica. Insistendo
su questa nota c'è il caso di sentirsi replicare dagli
abissini ad honorem d'Europa, che la schiavitù è
fenomeno legato a una determinata fase della evoluzione di un popolo,
che l'antichità classica conobbe la schiavitù,
giustificata, fra gli altri, da Aristotele, praticata, fra gli altri,
da Catone il Censore; e che anche nell'Europa contemporanea ci sono
gli schiavi, e sarebbero i proletari, i quali, secondo la frase del
barbuto profeta di Treviri, non avrebbero nulla da perdere,
all'infuori delle loro catene. (Ciò si riferisce,
naturalmente, a quelli del 1848).
(segue...)
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