(segue) Il Ğdatoğ irrefutabile
(31 luglio 1935)
[Inizio scritto]
Altro motivo non essenziale:
quello della razza. Anzi tutto gli etiopi ancora non si considerano
negri, ma semiti. In secondo luogo ci sono decine di migliaia di
negri, che militano sotto le nostre bandiere e si sono sempre
magnificamente battuti per noi e con noi. Così dicasi degli
arabi, tra i quali si sta organizzando la «gioventù
araba del Littorio». Noi fascisti riconosciamo l'esistenza
delle razze, le loro differenze e la loro gerarchia, ma non
intendiamo di presentarci al mondo come vessilliferi della razza
bianca in antitesi con le altre razze, non intendiamo di farci
banditori di esclusivismi e di odi razziali quando dobbiamo
constatare che le peggiori opposizioni ci vengono non dai negri di
Harlem — i quali potrebbero utilmente occuparsi dei loro
colleghi quotidianamente e cristianamente linciati negli Stati Uniti
— ma da molti autentici bianchi di Europa e d'America.
Parimenti il tema della «civiltà»
non va eccessivamente sfruttato. Anche la civiltà nel suo
duplice aspetto morale e materiale non è un obiettivo, ma sarà
una conseguenza della nostra politica.
Gli argomenti essenziali,
assolutamente irrefutabili e tali da chiudere qualsiasi tentativo di
polemica sono due: i bisogni vitali del popolo italiano e la sua
sicurezza militare nell'Affrica Orientale. Sul primo argomento lo
stesso Ministro degli Affari Esteri britannico ha fatto delle
ammissioni esplicite, il secondo argomento è il decisivo.
Nel 1928 l'Italia firma un
trattato di amicizia col Governo etiopico. Quasi immediatamente dopo,
al riparo di questo trattato l'Etiopia inizia la riorganizzazione del
suo esercito. A chi lo affida per riorganizzarlo? Forse a ufficiali
di quell'Italia con la quale aveva firmato un trattato di amicizia?
Affatto. Il capo riorganizzatore è un generale svedese, gli
ufficiali istruttori belgi. Tutto l'orientamento della preparazione è
a carattere anti-italiano. Nel 1931, una mobilitazione regionale
nell'Ogaden, concentra improvvisamente sulle frontiere italiane
decine di migliaia di etiopi: lo stesso era accaduto nel 1911 e
durante la guerra mondiale. È di un'evidenza luminosa che la
situazione strategica delle nostre Colonie, precaria in tempi
normali, diventerebbe insostenibile in tempi eccezionali, qualora
l'Italia fosse impegnata sullo scacchiere europeo. La soluzione del
problema non può essere che totalitaria. Un'espansione che non
sia presidiata dalle armi, un protettorato che non sia accompagnato
da misure militari, può concludersi come quello di Uccialli:
d'altra parte, finché non sia eliminata l'incombente minaccia
militare abissina, ogni sicurezza delle nostre Colonie sarà
aleatoria. Dei limiti di questa sicurezza, sola giudice è
l'Italia: in casi pericolosi noi non avremmo aiuti di sorta da
nessuno; anzi, è probabilissimo il contrario.
(segue...)
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